Le idee anarchiche conservano una forte attrattiva e sono fonte d’ispirazione per uomini e gruppi politici eterogenei. Nonostante gli anarchici non abbiano al loro attivo nessuna rivoluzione vittoriosa, la loro dottrina continua a sollecitare una serie di interrogativi sulla natura della società, della democrazia e delle istituzioni.
Essa ha rivolto al concetto moderno dello Stato una serie interminabile di critiche attaccando ogni tesi politica e tutti quei concetti relativi alla nozione di autorità in senso ampio. Spesso con brutalità, l’anarchico affonda il coltello nel corpo dei valori e degli istituti della società e della morale. Fin dalle fasi iniziali, le proteste di cui il movimento anarchico si è reso interprete, hanno espresso un bisogno psicologico che la sua debacle come forza politica organizzata non ha cancellato.
L’anarchismo classico è un prodotto del XIX secolo, in parte è il riflesso dello scontro tra le macchine della rivoluzione industriale e una società artigiana e contadina. Si è alimentato con il mito della Rivoluzione Francese del 1789, ma ha rimesso in discussione i mezzi e i fini degli stessi rivoluzionari. La parola anarchia è antica, deriva dal greco antico ana e arché, e indica pressappoco assenza d’autorità o di governo. La consuetudine secondo la quale gli uomini non possono fare a meno della prima o del secondo, ha conferito al termine anarchia, un significato dispregiativo, come sinonimo di disordine, caos e disorganizzazione. Fu Pierre Joseph Proudhon ad impadronirsi del termine anarchia. Grande creatore di battute (“la proprietà è un furto”), egli la intendeva proprio come il contrario del disordine. Secondo lui a favorire il disordine era proprio il governo e soltanto una società priva di esso, poteva ristabilire l’ordine naturale e restaurare l’armonia sociale. Per indicare questa terapia, convinto che il linguaggio non gli forniva altro vocabolo, volle restituire all’antica parola anarchia il suo stretto significato etimologico. Dopo di lui a utilizzare il termine anarchia fu Bakunin, con un furore polemico non privo di contraddizioni.
Proudhon e Bakunin si divertirono a confondere le acque: l’anarchia era, per loro, nello stesso tempo, il più gigantesco disordine, la disorganizzazione più completa della società e, dopo questo mutamento rivoluzionario abnorme, la costruzione di un nuovo ordine, stabile e razionale, fondato sulla libertà e la solidarietà. Un’elasticità che si prestava a generare equivoci e sospetti fastidiosi. Proprio questa duttilità estrema, spinse molti personaggi, uomini politici, uomini d’azione, poeti e avventurieri a riconoscersi con modalità differenti nelle idee anarchiche e libertarie. In Francia, alla fine del secolo, Sebastian Faure riprese un termine coniato, fin dal 1858, da un tal Joseph Déjacque, e ne fece il titolo di un giornale: Il Libertario.
Gli anarchici tentarono di demolire tutti quei valori che giustificano lo stato come struttura centralizzata sempre più potente nel XIX secolo, perché eretto sulla base di una di una crescente industrializzazione . Era quindi inevitabile che gli anarchici si creassero sempre più dei nemici: politici, latifondisti, preti, burocrati. Pur essendo un fenomeno dell’ultimo secolo e mezzo, quello anarchico rappresenta un tipo di rivolta con radici profonde in epoche remote. Molti anarchici sono fieri di questi precedenti storici e spesso rivendicano come precursori uomini che forse si stupirebbero di trovarsi in loro compagnia.
Zenone, gli stoici, le eresie gnostiche, sono tutti considerati come progenitori del moderno anarchismo e in generale tutto ciò che si pone in contrasto con l’idea di accentramento, politico, religioso, culturale e comportamentale. L’anarchismo si è insinuato nelle culture politiche più disparate, le più affini come quella socialista e comunista, ma anche le più distanti come il nazionalismo, il liberalismo e addirittura ha lambito il primo fascismo squadrista.
L’anarchismo è quel che si può definire una rivolta viscerale, da parte di un individuo ribelle che si sbarazza – affermava Max Stirner – di tutto ciò che è sacro, realizzando un’immensa sconsacrazione.
Come «vagabondi dell’intelligenza» «invece di considerare verità in-tangibile ciò che offre a migliaia di uomini la consolazione e il riposo, saltano oltre le barriere del tradizionalismo e si abbandonano senza freni alla fantasie della loro critica sfrontata». Per l’anarchico tra tutti i pregiudizi che accecano l’uomo dall’origine dei tempi, quello dello Stato è il più funesto. Stirner tuona contro colui che «da tutta l’eternità, è posseduto dallo Stato».
Proudhon non si tira indietro e ne smonta il meccanismo: «Ciò che ha mantenuto questa predisposizione mentale e ha per tanto tempo il suo fascino invincibile, è questo: il governo è apparso alle menti come l’organo naturale della giustizia, il protettore dei deboli». Sprezzante auspica il giorno in cui: «la rinunzia all’autorità avrà sostituito nel catechismo politico la fede nell’autorità».
Il principe Kropotkin si beffa di coloro che «giudicano il popolo come un agglomerato di selvaggi che si mangiano il naso appena il governo non funziona più». Malatesta, quasi precorrendo la psicanalisi, svela la paura della libertà che occupa il subconscio degli autoritari.
«Lo Stato ed io, siamo due nemici» – attacca Stirner – «Lo Stato ha sempre un solo scopo: limitare, legare, subordinare l’individuo, assoggettarlo all’interesse generale». Proudhon gli fa eco con una tirata degna di Moliere: «Essere governato, significa essere guardato a vista, ispezionato, spiato, diretto, legiferato, regolamentato, incasellato, indottrinato, catechizzato, controllato, valutato, censurato, comandato, da parte di esseri che non hanno né il titolo, né la scienza, né la virtù (…)».
Questa furiosa requisitoria anti-statale continua con una celebre frase di Bakunin, per il quale lo Stato è una «astrazione divoratrice della vita popolare». Ribatte Malatesta: «Lungi dall’essere creatore d’energia, il governo saccheggia, paralizza e distrugge enormi forze, con i suoi metodi d’azione». In quel periodo questi autori osservano un altro fenomeno: l’aumento delle funzioni dello stato, della burocrazia che rendono complessa la vita sociale.
Proudhon annuncia il flagello del futuro: «Il funzionarismo (…) spinge al comunismo di Stato, all’assorbimento di ogni vita locale e individuale nella macchina amministrativa, spinge alla distruzione di ogni libero pensiero. Tutti chiedono di ripararsi sotto l’ala del potere, di vivere a spese della comunità». Gli anarchici a metà Ottocento già avvertono un fenomeno presente in occidente: la mania di sorvegliare, classificare i comportamenti e analizzare al fine di evitare ogni forma di rischio, l’illusione di essere liberi in un ambiente super controllato. Essi denunciano aspramente la frode della democrazia rappresentativa. «La democrazia è solo un arbitrio costituzionale», dichiara Proudhon, mentre per Bakunin è solo «un gioco di bussolotti» che garantisce un potere permanente ad una élite.