Nel 1931 la Librairie du Travail di Parigi pubblica L’Abominable Vénalité de la Presse, una raccolta postuma di lettere scritta dal russo Arthur Germanovic Raffalovich. Costui era un finanziere raffinato, insignito in Francia della prestigiosa Legione d’Onore e membro di prestigiose accademie.
Oggi lo definiremmo sopratutto un faccendiere al servizio dello Zar, perché il ruolo di Raffalovich fino al 1914 è stato quello di comprare i giornali francesi e per indirizzare o modificare il giudizio sulla politica estera russa. Quelle lettere riportano le minuziose trattative per “convincere” la stampa, sono scritte con uno sdegno contenuto, lo stile scettico e burocratico di un reazionario all’antica.
Il tono cinico ma elegante, rende ancora più irrefutabili le sue involontarie testimonianze della “venalità abominevole” della stampa. Queste lettere raccolte con cura negli archivi del ministero delle Finanze di Mosca, dopo la rivoluzione vennero divulgate dai bolscevichi, quella parte politica con cui Raffalovich non avrebbe voluto confondersi in vita.
Il suo nome dice ancora qualcosa non per i suoi meriti di economista pratico, ma per questo libro ingiallito e difficile da reperire che contiene tutta l’intera raccolta di lettere che il giornale l’Humanité pubblicò tra il 5 dicembre 1923 e il 30 marzo 1924, in un tripudio di scandali, denunce e insulti. È il caso di ricordare che poche corporazioni sono talmente inattente al decoro altrui, ma gelose del proprio, come quella dei giornalisti. Forse per questo motivo, tal Georges Bourdon, segretario del sindacato dei giornalisti, l’8 gennaio del 1924 scrisse una lettera offesa l’Humanité, confidando in una connivenza tra colleghi. E invece il direttore di quel giornale per tutta risposta coinvolse lui pure nello scandalo: “Sarebbe gentile da parte del sig. Bourdon spiegarci per quale motivo scrisse su Le Figaro certi articoli d’elogio della Germania Imperiale, a quali condizioni, li interruppe, poi, bruscamente?” Ovvie cause e controcause, come sempre accade, ma finite tutte nel nulla.
La raccolta inizia col secolo e le lettere indirizzate al ministro delle finanze russo, De Vitte. Una di queste, datata 26 ottobre 1901, riassume il tono di tutte le missive scritte da Raffalovich in diciassette anni. “Ho l’onore di telegrafare a Vostra Eccellenza la preghiera di farmi aprire immediatamente un credito di cinquantamila franchi al fine di poter versare questa cifra al gruppo Petit Journal, Figaro, Matin, Français ecc…e a quattro giornali di provincia”. Rapido accredito in conto spese al governo russo, seguito da resoconto accurato argomentato di ragguagli.
L’aspetto non trascurabile di ogni compravendita di articoli è che i franchi non bastavano mai. Nella lettera al nuovo ministro Kokovtzev, nel 1905, ecco un’altra frase ricorrente: “S’è ostinato sulla cifra di 250mila franchi per l’intera durata della guerra. Alla fine ha abbassato le sue pretese a 200mila”. A quanto pare, un giornalista in perenne trattativa esosa.
Tra le lettere c’è quella di un tale Verneuil, smanceroso e presuntuoso a tal punto da voler moralizzare, scrivendo a San Pietroburgo esprimendo le sua apprensione: “Sono impressionato di vedere il Vostro governo preoccupato così poco delle manovre che i suoi avversari stanno mettendo in atto e che possono da un momento all’altro rovinare il credito della Russia in Francia e quindi nel mondo intero”.
Seguono consigli su come non disperdere questo “capitale” di credibilità così prezioso a Parigi, quando basterebbe un po’ di grana, rassicurando la pubblica opinione col “sacrificare due, tre milioni per anno, forse meno, trasferendoli alla stampa?”. Retorica efficace, siamo nel 1905 e Russia e Giappone sono in guerra e il ministro a San Pietroburgo non poteva dissentire rispetto a tale suggerimento.
I giornalisti non cercano solo denaro per condizionare l’opinione pubblica, addomesticare la vendita e i corsi dei titoli russi a Parigi, ma sono attenti all’onore. Come un tal Recouly scrive imperativo al nostro Raffalovich: “Io desidero ottenere una decorazione russa per la mia campagna in Manciuria come corrispondente di “Temps”. La cosa non è impossibile. Parecchi corrispondenti, uno russo e uno americano, sono già stati decorati”. Decorazione concessa, anche perché come si legge nella lettera del 2 novembre 1905: “Le circostanze interne della Russia, rivolte e massacri, hanno creato presso i detentori dei nostri titoli uno stato d’animo inquietante … Nelle circostanze presenti ci è indispensabile l’appoggio della maggioranza della stampa”. La quale ovviamente, diventa più maligna e ricattatrice, ogni volta che si avvicinano le scadenze per rinnovare i titoli del debito pubblico russo. Un proverbio francese dice “les bon comptes font les bon amis”, letteralmente “i buoni conti fanno i buoni amici”, interpretabile moralisticamente come “i soldi attirano i falsi amici”. Il pratico Raffalovich aveva compreso l’importanza e la potenza di quei bon amis della stampa.