Fino a che punto lo Stato può interferire sullo stile di vita e la salute dei cittadini? Fumare è un comportamento così pericoloso da giustificare una politica repressiva accompagnata da una martellante campagna allarmistica. Il fumo è indifendibile? Le leggi di tutela dei non fumatori partono dal presupposto che sia necessaria una “tutela”. Un conto è chiedere al fumatore di essere educato e contenersi in alcuni luoghi: è giusto vietare le sigarette negli ospedali o al cinema, ma arrivare a vietare degli spazi riservati ai fumatori sui treni o impedire al gestore di un locale di consentire di fumare liberamente, significa criminalizzare un comportamento e colpire la libertà.
“Il fumo fa male” è un’affermazione inconsistente. Si tassano i fumatori per punirli ma, per esempio, si consente all’industria alimentare di alterare chimicamente i cibi oppure si tace deliberatamente sulle sostanze tossiche rilasciate dai motori delle automobili.
Si colpiscono i fumatori, perché è molto più difficile mettere in riga una multinazionale che ha una capacità di ricattare e corrompere maggiore. Certo, esiste anche una lobby del tabacco, ma non è meno farabutta dell’industria farmaceutica che vuole farvi smettere di fumare ingoiando prodotti chimici. Prima di interrogarsi sulla libertà e lo stile di vita, bisogna ragionare su questioni molto più materiali e comprendere che certe azioni in nome della “salute pubblica”, servono soprattutto per qualche sporco affare commerciale.
Durante la torrida estate del 2000 a Chicago si svolse l’undicesima conferenza mondiale sul tabacco e sulla salute che aveva come obiettivo l’inasprimento delle politiche di controllo del consumo di tabacco. I quattro principali finanziatori erano tutti colossi dell’industria farmaceutica: Novartis, Glaxo Wellcome, Pharmacia e SmithKeline Buchan (SKB), attive nel mercato dei prodotti sostitutivi della nicotina e altri farmaci per smettere di fumare.
Prima del raduno di questi invasati salutisti interessati a smerciare farmaci, fumare non era un vizio, ma una normale consuetudine. David McLean, cowboy elegante e seducente con l’immancabile sigaretta, ci mostrava i meravigliosi paesaggi del West nella pubblicità della Marlboro, Babbo Natale faceva qualche tiro tra una consegna e l’altra mentre Jacques Tati si aggirava con l’aria svampita di Monsieur Hulot e la pipa in bocca.
Alla fine degli anni Ottanta, i fumatori sono diventati dei pericolosi sovversivi da perseguitare per difendere la gente “sana”. La svolta arriva alla fine degli anni 80, quando tal Jed Rose, ricercatore della Duke University, brevetta il cerotto che permette il passaggio trans dermico della nicotina e che diventerà la base per prodotti come il Nicoderm e il Nicotrol. Roba che non valeva niente, ma che si trasformerà in oro grazie un documento del Surgeon General del 1989 intitolato “Le conseguenze del fumo sulla salute: dipendenza da nicotina”.
Quella che prima era una sostanza utilizzata da secoli anche come rimedio curativo, diventava un motivo per raffigurare i fumatori come dei drogati. All’improvviso il fumatore è diventato un malato da curare e non uno che prova piacere o vuole semplicemente rilassarsi. Ai drogati si chiede di smettere oppure si cerca di “ridurre il danno” con il metadone, così la nicotina somministrata per via farmacologica è il nuovo metadone.
Le grandi compagnie farmaceutiche hanno incrementato sempre di più i finanziamenti alla pubblicità anti-fumo e i governi in perfetta sintonia si sono adeguati con quattro mosse: a) aumentare le tasse sul tabacco, b) demonizzare i fumatori, c) vietare il fumo nei luoghi più impensabili (persino parchi pubblici) per costringere a smettere con la forza; d) promuovere l’uso di prodotti alternativi “sostitutivi della nicotina” che in molti casi agiscono sul sistema nervoso. Come dire se proprio non puoi smettere, almeno prendi la roba nostra che è più “sana”.
Fumare da “abitudine” si è trasformata in “dipendenza”. È bastato un tocco di semantica per ridurre milioni di fumatori in malati: se c’è una “dipendenza” è necessaria una “cura” e magari pure di qualche psicoterapeuta che possa correggerti.
Il trattamento riservato ai fumatori è indicativo di certi sistemi di controllo e repressione, se il confine tra salute e malattia si fa sempre più sottile, più redditizio è classificare come “malato” qualunque atteggiamento che richieda una “correzione” attraverso un farmaco. Non è promuovere la salute, ma il tentativo di dominare attraverso la medicalizzazione della vita.