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Gli esordi della cultura psichedelica: una variopinta compagnia

 

Gli apologeti della cultura psichedelica la definiscono “la storica giornata del 1943”. Tutto era cominciato nella severa Svizzera, nei laboratori della Sandoz di Basilea, quando il dottor Albert Hoffman stese il resoconto dell’assunzione involontaria in corpore vili, cioè il suo, di una dosa minima di una sostanza che già aveva sintetizzato anni prima e che per la sua struttura molecolare e le proprietà fisiche aveva denominato “Acido dietilamidico dextro tartrato 25, dove venticinque era il numero di registro in una serie di composti sintetici della Sandoz. “Nel pomeriggio del 16 aprile 1943 fui costretto a interrompere il mio lavoro di laboratorio e a tornare a casa. Ero stato preso da una strana agitazione insieme con una leggera vertigine. Giunto a casa, mi stesi e caddi in una specie di delirio che non era affatto spiacevole e che era caratterizzato da una grande attività della mia immaginazione. Fui invaso da una serie ininterrotta di immagini fantastiche di un’intensità straordinaria, accompagnate da colori caleidoscopici della maggiore vivacità”.

Facciamo un salto fino al 1961. Aldous Huxley e Timothy Leary partecipano al quattordicesimo congresso internazionale di psicologia applicata a Copenhagen. Da qualche anno, sempre il dottor Hoffmann, era riuscito a sintetizzare in laboratorio la psylocibina, l’alcaloide dei funghi allucinogeni. Da anni, in alcuni centri di psichiatrici, si sperimentavano queste sostanze per il trattamento di alcune forme gravi di psicosi e dipendenza da alcol.

Aldous Huxley

Huxley non era uno psichiatra ma un romanziere e saggista che aveva descritto le sue esperienze allucinogeni. Autore di molti libri, come storico aveva investigato sul rapporto tra esperienza mistica, teologia e potere. Due testi particolari, il primo, “L’eminenza grigia”, dove si narrano le vicende di François Leclerc du Tremblay, un aristocratico francese entrato nell’ordine dei Cappuccini con il nome di padre Giuseppe e divenuto celebre come ministro degli esteri e capo del servizio segreto sotto il governo di Richelieu nella Francia del Diciassettesimo secolo. L’altro libro controverso,“I Diavoli di Loudun” ricostruiva la vicenda di una presunta possessione che nel Seicento aveva coinvolto un prete, Padre Urbain Grandier e un intero convento di Orsoline.

«La comunicazione teologica di una visione o anche di un’esperienza mistica spontanea è “grazia gratuita”. Queste cose sono una grazia, esse ci sono date, noi non facciamo nulla perché ci arrivino e sono gratuite, il che significa che non sono sufficienti per la salvazione o l’illuminazione, comunque vogliamo chiamarla. Ma se sono usate in modo giusto, se sono assecondate, se il ricordo di esse è considerato importante e chi le ha vissute lavora secondo le vie che gli stono state indicate, esse possono essere di grande importanza nel cambiare la vita di una persona”. Così Huxley chiudeva il suo discorso al congresso danese, convinto che le esperienze mistiche attingessero a una regione del nostro cervello non in contatto con la realtà quotidiana.

Molto più mondano e pop, fu l’intervento di Leary, professore di Harvard che Richard Nixon ebbe a definire “l’uomo più pericoloso d’America”. Una vita controversa: nel 1965 si becca un’assurda condanna a trent’anni di reclusione per possesso di marijuana, evade nel 1970 con la complicità del gruppo radicale armato dei Weather Underground. Latitante prima ad Algeri, ospite di Elridge Cleaver, capo del cosiddetto governo in esilio delle Black Panther e poi da lì entrato in Svizzera dove sposa una donna ricca. Fuggito dalla terra elvetica, viene arrestato da agenti americani dopo essere atterrato a Kabul, dove un manipolo di giovani in fuga dall’Occidente l’aspettava per festeggiarlo al Siegi’s il bar dove per farsi una canna bastava raccogliere l’hashish rimasto nelle venature consunte dei tavoli di legno.

 

Timothy Leary

 

Timothy Leary da anni si vantava, senza aver provato nulla, dei suoi trattamenti con droghe psichedeliche agli alcolizzati e ai criminali. Erano esperimenti che all’inizio venivano tollerati dall’Università di Harvard e dalla stessa CIA che in quegli anni diffondeva queste sostanze. Leary in un primo momento non aveva un afflato mistico, poi quando la psylocibina e l’LSD vennero inclusi nell’elenco degli stupefacenti, fondò una specie di chiesa denominata League for Spiritual Discovery, solo per utilizzare legalmente a scopo di culto le sostanze psichedeliche che la legislazione statunitense garantiva alla chiesa nativa americana.

Le avventure lisergiche di Jünger e Hofmann

Una vita lunga un secolo quella di Ernst Jünger, morto il 17 febbraio 1998 all’età di 103 anni. Una vita che il suo biografo, Heimo Schwilk ha così riassunto: “Jünger è stato uomo d’azione e di lettere, scrittore e filosofo, “prussiano” e anarchico, tedesco e ribelle, e in fin dei conti testimone della complessità del Novecento”. Lo scrittore tedesco ha combattuto due guerre mondiali, è stato decorato con la Croce di Ferro Pour le Mérite, ha visto due volte il passaggio della cometa nel 1910 e nel 1986, è stato il testimone di un secolo dove le forze della Tecnica hanno assunto dimensioni titaniche. Jünger ha descritto le figure e le strutture emerse da questo magma incandescente, ha tracciato il profilo dell’anarca e del ribelle e di come essi possono vivere in un’epoca dove il potere è sempre più invasivo. Tuttavia non bastano poche righe per descrivere la complessità del pensiero di questo ribelle metafisico con dallo stile aristocratico, quello che vogliamo raccontarvi è il lato nascosto di Jünger, quello che non ti aspetti e del suo rapporto controverso con le droghe psichedeliche e l’amicizia con Albert Hofmann, lo scienziato svizzero che scoprì casualmente l’Lsd e i suoi effetti.

 

“Gentilissimo signor Hofmann, la ringrazio di cuore per i gentili auguri del 20 marzo, così come per i graditi doni, soprattutto per le droghe”.

Comincia così una cordiale lettera del tedesco datata 4 aprile 1949, dove ringrazia l’amico. Anni dopo, nel 1970, Jünger pubblicherà un resoconto di questo suo lungo rapporto speciale con le sostante stupefacenti: il libro intitolato “Avvicinamenti. Droghe ed ebbrezza”, un testo dalla trama irregolare, un’autobiografia su quella oscura passione che spazia tra ricordi di gioventù, suggestioni psichedeliche e letterarie, un vero trip messo per iscritto.

 

“Irradiazione – è la parola che meglio di altre esprime l’influenza sulla mia persona della figura e dell’opera letteraria di Ernst Jünger. Attraverso l’estensione del suo sguardo, che abbraccia in maniera stereoscopica le superfici e le profondità delle cose, il mondo aveva acquistato ai miei occhi un nuovo diafano splendore”. Queste parole scritte da Albert Hofmann testimoniano la forza e il legame tra due uomini straordinari. Il chimico svizzero, vissuto anche lui più di 100 anni, è un personaggio fondamentare per la storia psichedelica.

Nel 1938, Hofmann lavorava sugli alcaloidi, per cercare una sostanza che potesse agire sulla circolazione del sangue. Dopo diversi tentativi, sintetizzò la dietilammide dell’acido lisergico (Lsd-25), ma l’ambiente della chimica non trovò la cosa molto interessante.

Qualche anno dopo, siamo nel 1943, Hofmann tornò a lavorare su quel composto: il 16 aprile, durante un processo di purificazione, urtò un contenitore bagnandosi una mano con l’Lsd. Poco dopo si accorse di essere in uno stato mentale di irrequietezza, con emozioni piacevoli, potenti e una visione complessivamente alterata. Hofmann capì che aveva scoperto qualcosa di importante e cominciò subito a fare degli esperimenti su stesso. Il 19 aprile prese una dose della sostanza di proposito e successivamente, convintosi di avere esaurito l’effetto, tornò a casa in bicicletta. Nel corso del tragitto si accorse che lo spazio interno a lui era deformato, cose e persone assumevano un tratto minaccioso e il suo umore divenne cupo. Il giorno dopo, al contrario, avvertì un effetto di carica positiva. Quella sostanza funzionava ma andava analizzata bene e trattata con estrema accortezza. Da quel momento Hofmann cercò di esaminare e scomporre tutto quello che poteva dall’Lsd, ma dovette riconoscere che era decisamente poco addomesticabile, perché come tutti gli allucinogeni agisce in base all’umore del consumatore. Definiva quella sostanza, “il mio bambino difficile” e nel 1979 uscì il suo libro con quel titolo. L’Lsd poteva dare grandi gioie, ma anche visioni spaventose e incubi e provocare il famigerato bad trip.

Misteri e piaceri delle sostanze psicoattive

Gli uomini hanno sempre sperimentato sostanze psicoattive. Diversi sono gli esempi di arte rupestre che mostrano rituali con l’uso di vegetali allucinogeni. Secoli dopo, a partire dal 1500 a.c., i riti religiosi che si celebravano ogni anno nel tempio di Demetra nella città di Eleusi, probabilmente prevedevano l’induzione artificiale delle visioni mentali.  L’alterazione degli stati di coscienza è una costante nella storia delle civiltà, non solo nei culti rituali ma anche per anche nelle occasioni ludiche. Nell’Odissea si parla di una pianta offerta da Ermete a Ulisse per prevenire le magie di Circe. Quale fosse il misterioso vegetale non è dato saperlo: c’è chi l’ha identificata con la mandragora e chi con la ruta siriaca. Invece, nell’Isola dei Lotofagi, gli abitanti usavano il loto per perdere la memoria, associato al mephente«un farmaco che l’ira e il dolore calmava», probabilmente identificabile nel papavero da oppio.

Oggi l’assunzione di tali sostanze, è quasi esclusivamente dettata da un desiderio edonistico, spogliato da qualunque riferimento al sacro e al comunitario. A metà Ottocento, Thomas De Quincey, «conquistava il paradiso al primo assalto», visitando una farmacia, come da un odierno spacciatore. Così, il saggista inglese definiva, nel 1822 lo scopo delle sue Confessioni di un mangiatore d’oppio: «Rivelare parte della grandiosità che è potenzialmente insita nei sogni umani». In Suspiria de Profundis, Quincey risale alle cause sociali della diffusione delle droghe, che secondo lui sono da ricercare nell’urbanizzazione spinta che toglie all’uomo ogni possibilità di solitudine, presupposto della facoltà di sognare, senza la quale l’individuo si sente limitato. Nella produzione letteraria dell’Ottocento e del Novecento, sono presenti numerose testimonianza di alterazioni chimicamente indotte. Alcuni autori cercheranno di descrivere razionalmente la gamma degli effetti fisici di ciascuna sostanza, facendo da cavia (Baudelaire, De Quincey, Benjamin, Jünger, Huxley etc.), assumendo hashish, mescalina, oppio e altre sostanze.

 Il tentativo è di spiegare attraverso la parola queste esperienze visionarie. «Vedevo – scrive Aldous Huxley in Le porte della percezione, riguardanti l’esperienze con la mescalina, «ciò che Adamo aveva visto la mattina della sua creazione: il miracolo, momento per momento, dell’esistenza nuda». «È piacevole?» chiese qualcuno. «Né piacevole, né spiacevole risposi – è». 

 Istigkeit è il termine utilizzato per descrivere lo stato di alienazione prodotto dalla mescalina. “Essenza”. «L’essere della filosofia platonica, solo che Platone sembra aver fatto l’enorme e grottesco errore di separare l’Essere dal divenire, identificandolo con la matematica astrazione dell’Idea. Egli non avrebbe mai potuto vedere, pover’uomo, un fascio di fiori brillare di luce interiore e palpitare sotto la pressione del significato di cui erano saturi». In Occidente ogni residuo di sacro è presente solo all’interno di una schema rituale monoteistico che rifiuta forme di ascesi e riaccende la controversia tra attivi e contemplativi. «La mescalina induce alla contemplazione, ma a una contemplazione incompatibile con l’azione e anche con la volontà di agire, con lo stesso pensiero di agire» – scrive sempre Huxley. 

Altri scrittori-sperimentatori come William Borroughs su questi temi evitano un stile saggistico, dove ogni adulterazione psichica viene descritta all’interno di una dissertazione articolata. In Pasto nudo, l’autore americano si limita a registrare cosa accade, senza la paura di non poter trovare le parole adatte per riferire questi stati mentali.  Borroughs redige un lungo elenco di situazioni dominate dalla ricerca spasmodica dell’eroina, una narrazione disordinata, con scene schizofreniche e shock improvvisi. Tutte situazioni molto intense che vogliono semplicemente affermare la dura verità: la vita devastata e le peripezie di un tossicodipendente che vuole soddisfare il proprio bisogno. Quello delineato è un eterno presente, lo sguardo sulla insensatezza del mondo che appare al tossico, in una serie infinita di luoghi: ospedali, aule di tribunale, camere d’albergo, gabinetti pubblici, bar putrescenti, e la cintura periferica della città «dove tutte le potenzialità umane si distendono in un vasto mercato silenzioso».

 

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