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La passione per il complotto

Le spiegazioni di comodo, le versioni ufficiali, molto spesso non convincono. Sull’estremo limite della realtà, si annidano le teorie del complotto. Dobbiamo ammetterlo, ci appassionano perché diffondono il dubbio. Il problema è districarsi tra la critica dello studioso serio e l’ossessione paranoica di chi interpreta ogni avvenimento come il risultato di una cospirazione. Purtroppo, sono i secondi a fare più rumore, specialmente sul web e non è facile districarsi, distinguere il buono dal marcio, il ricercatore serio dall’ingenuo. Chi vuole stroncare il pensiero critico utilizza l’aggettivo complottista, rifiutando ogni ipotesi alternativa anche se ben documentata. Il caso più clamoroso è stato quello dell’attentato alle Torri Gemelle di New York, l’undici settembre 2001, dove rispetto alla versione ufficiale del governo, precaria e confutabile, esistono una serie di dubbi.
Le teorie del complotto spesso sono imprecise come la realtà che tentano di decodificare, ma almeno spingono a non adagiarsi troppo. Nel XIX secolo, pochi anni dopo la rivoluzione francese, dove quel che sembrava impensabile si era avverato, è stata la letteratura popolare a esprimere l’inquietudine su chi realmente agisce dietro gli eventi socio-politici.

“Vi sono due storie: la storia ufficiale, menzognera, che ci viene insegnata e la storia segreta, dove si trovano le vere cause degli avvenimenti”. Ne era convinto Honorè de Balzac, autore di questa massima contenuta nella trilogia Illusioni perdute (1837-1843). Del resto, egli aveva fondato un’associazione, Le Cheval rouge, destinata a preparare nell’ombra l’ascesa dei suoi amici e di se stesso a incarichi importanti nel mondo letterario. Se siano riusciti o meno nell’intento, è difficile stabilirlo. Balzac affronta in molti romanzi il tema del complotto, come in particolare in Un tenebroso affare o Storia dei Tredici, ma anche in quelli dove descrive con precisione il funzionamento dell’ambiente sociale. È una fonte preziosa, più di certi libri di storia. Illusioni perdute racconta il fallimento di Lucien, un giovane ambizioso con aspirazioni letterarie e disposto a tutto pur di ottenere la celebrità. A salvarlo in extremis sarà un personaggio misterioso, un abate che gli promette di realizzare tutti i desideri. Carlo Herrera, meglio noto come Vautrin, è un ex galeotto, ricco e con tanti segreti e agganci da riuscire riuscire a manipolare gli ingranaggi del potere politico, finanziario e della stampa. Finirà per diventare capo dei servizi di polizia.

Balzac si era ispirato a un personaggio realmente esistito, François Vidocq (1775-1857), uomo dalla vita romanzesca, ex truffatore, poi diventato capo della Sureté Nationale e successivamente, investigatore privato di successo. Nel XIX secolo si fa strada il sospetto che dietro certe apparenze, in ambito politico ed economico, ci siano quasi sempre delle manovre occulte. L’utilizzo strumentale della volontà popolare che viene concessa e revocata a seconda degli interessi, fa porre la domanda su chi siano i reali detentori del potere. A dare forma agli eventi è solo chi sta dietro le quinte? Il retroscena spiega meglio ciò che vediamo sulla scena? Un altro amante dei complotti è stato Alexandre Dumas, con il ciclo Memorie di un medico, ma le stesse tendenze saranno manifestate da George Sand (La Contessa di Rudolstadt 1843) e altri autore come Faul Féval e Pierre Alexis Ponson du Terrail. Poco importa la tendenza politica degli autori, monarchici o repubblicani, tutti considerano la storia contemporanea come una intrigo gestito da attori clandestini. Non dobbiamo liquidarle come semplici ossessioni che prendono forma letteraria, in quel periodo, un pensatore come Saint-Simon auspicava l’avvento di una società controllata da un’élite industriale, tecnocratica e religiosa. Un’idea che purtroppo, si è diffusa e trova una forma nelle varie organizzazioni transnazionali. Cospirazioni e associazioni segrete sono sempre esistite, per restare solo in un ristretto ambito geografico, la Carboneria in Italia e i cugini francesi della Charbonnerie, altro non erano che gruppi riservati che agivano per ribaltare un equilibrio socio-politico. I custodi mascherati del potere effettivo, rimandano a una nuova aristocrazia, poco spirituale e molto venale. Gli Stati Uniti sono un esempio di repubblica con forti tratti elitari. In Gran Bretagna, è stata Agatha Christie a narrare il complotto nel romanzo popolare. Poirot e i Quattro, dove evoca la coalizione di quattro super-intelligenze il cui obiettivo è arrivare al dominio del mondo. “La rivolta universale, i disordini operai (…), ci sono persone che dicono che dietro tutto questo c’è una forza che non vuole nient’altro che la disintegrazione della civiltà.” A sconfiggere i quattro personaggi, sarà l’intelligenza sopraffine di Hercule Poirot.

Spesso adattati per il cinema, diversi romanzi di Graham Greene (Una pistola in vendita, 1936) o quello di Eric Ambler (La frontiera proibita, 1936) trattano di complotti organizzati da un ordine corrotto, così come la falsa democrazia descritta ne Il nuovo mondo di Aldous Huxley rivela un aspetto più sottile del dominio camuffato dietro apparenti forme di libertà. Tutta la letteratura di spionaggio, sembra segnare la fine dell’innocenza. John La Carrè, Ian Fleming ex agente dei servizi con il suo James Bond o Malko Linge della collana SAS, creato da Gerard De Villiers, spiegano meglio come certe verità non si possano raccontare alla massa, perché tutti gli attori politici, stati e organizzazioni, ricorrono alle stesse macchinazioni e certi ideali sbiadiscono. La fantascienza, si occupa dello stesso argomento con uno stile forse esagerato, ma non per questo meno distante dal reale. Autori come Philip Dick, non vogliono semplicemente rivelare l’espropriazione del “politico” subita dai cittadini, ma vogliono seminare il dubbio sulla possibilità stessa di credere che esista una verità sicura. La contrapposizione tra realtà effettiva e realtà apparente salta in aria, lasciando macerie e confusione. I richiami a Dick, sono presenti nel cinema. Film come Minority Report (2002), Blade Runner (1982), Matrix (1999) e Paycheck (2003), affrontano il tema del complotto e di ciò che è vero, con trame assai differenti. Nella spasmodica frenesia di decifrare il reale, di capire meglio cosa si nasconde dietro quello che un’espressione russa chiama il torneo delle ombre, c’è forse il desiderio di abbozzare una narrazione in grado di restituire un senso agli eventi di un ciclo storico che sembra esserne privo.

Il mistero di Fulcanelli

Nell’autunno 1926 uscì a Parigi in tiratura limitata un libro dal titolo accattivante: Il mistero delle cattedrali, l’autore si firmava Fulcanelli. Il testo era stato scritto da un uomo che si dichiarava un alchimista e si rivolgeva a lettori di un certo spessore intellettuale e potenziali seguaci. La tesi portante del libro era che le grandiose cattedrali gotiche non sono semplici luoghi di culto della religione cristiana, ma anche dei simbolici “libri di pietra”, dove si possono rintracciare gli elementi di una sapienza antica che usa come riferimento la simbologia alchemica. Secondo Fulcanelli, la parola gotico non deriva dall’antico popolo germanico dei Goti, ma dalla parola “argot” che significa gergo.

Arti gotiche deve intendersi come argotiques, dove argot è il linguaggio segreto usato da coloro che si rivolgono a un pubblico di iniziati, gli unici in grado di interpretare correttamente quei messaggi. Il libro contiene una descrizione delle più importanti cattedrali gotiche, da Notre Dame de Paris, Amiens fino a Bourges. La prefazione della prima edizione era firmata da un certo Eugene Canseliet, il quale dichiarava che l’autore, ora scomparso, era stato il suo “maestro”. “Fulcanelli non è più”, dichiarava Canseliet e proseguiva ringraziando l’artista Julien Champagne a cui lo stesso autore avrebbe affidato il compito di illustrare il testo.
Con una tiratura di appena trecento copie, il libro acquisì un’enorme notorietà legata soprattutto al mistero intorno allo scrittore. Nel 1957 venne proposta un’edizione con una nuova prefazione di Canseliet, dove si chiariva che Fulcanelli non era altro che lo pseudonimo utilizzato dal suo maestro per celare la sua vera identità e non si doveva ipotizzare altro.


La leggenda del maestro si è ingrossata molto con la citazione di un episodio tratto da Il mattino dei maghi (1960) di Louis Pawels e Jacques Bergier, libro a cui si deve il revival dell’occultismo.
Stando a quando riferito da Pauwels, l’amico Bergier dal 1934 al 1940, aveva collaborato con il fisico Andrè Helbronner, che tra i suoi collaboratori annoverava vari personaggi, ma uno di questi in particolare aveva colpito la sua attenzione, un tipo cordiale e riflessivo che all’improvviso era sparito dalla circolazione. Bergier era convinto che quell’uomo fosse Fulcanelli e di averlo incontrato nuovamente nel 1937 nel laboratorio della Direzione del Gas di Parigi, su richiesta dello stesso professor Hellbronnes. L’uomo misterioso parlò dei risultati della ricerca del professore francese e l’aveva messo in guardia sui potenziali pericoli della radioattività, ma una frase lo colpì su tutte: «Il segreto dell’alchimia è questo: esiste un modo di manipolare materia e energia capace d produrre quello che in termini moderni definiamo un “campo di forze”. Questo campo ha il potere di agire sull’osservatore e lo mette in una condizione privilegiata di contemplazione diretta dell’universo. Da qui, da questa postazione privilegiata, egli ha la possibilità di accedere a delle realtà normalmente precluse dal tempo e della spazio, dalla materia e dall’energia. Ecco quella che gli alchimisti definiscono la “Grande Opera”».

Un’altra storia interessante è quella fornita da Robert Ambelain (1907-1997), uno studioso di esoterismo, autore di numerosi saggi e in contatto con l’editore Jean Schemit, che pubblicava Fulcanelli.
Schemit gli rivelò che nei primi mesi del 1926 era andato a trovarlo un signore elegante e demodé con dei grandi baffi. Lo sconosciuto aveva cominciato a parlargli dell’architettura gotica, dicendo che in realtà si trattava di un sorta di codice, noto anche come “linguaggio verde” (per inciso, nel romanzo di Meyrink, “Il viso verde” si trovano richiami in tal senso). Qualche settimana dopo nell’ufficio dell’editore si era presentato Eugene Canseliet, con in mano il famoso manoscritto di Fulcanelli e Schemit, ci mise poco a riconoscere nella scrittura, il modo di esprimersi del personaggio che aveva conosciuto qualche tempo prima. Successivamente Canseliet era ritornato con Jean Julien Champagne, l’illustratore del libro “Il mistero delle cattedrali” e l’editore riconobbe l’uomo che si era presentato molto tempo prima. L’atteggiamento deferente di Canseliet e il rivolgersi al disegnatore come “maestro”, lo convinse del fatto che Champagne e Fulcanelli, fosse la stessa persona.

La trama si infittisce. Il giornalista francese Jean Boucher, sembrava confermare la supposizione tanto da riportare ad Ambelain un particolare su Champagne. Pare che l’uomo non si separasse mai da una scatoletta di latta contenente quella che all’apparenza sembrava resina di gomma. Ogni tanto prendeva un pizzico e la inalava profondamente, spiegando a Boucher che quella polverina aveva delle proprietà straordinarie che gli consentivano di raggiungere una conoscenza “intuitiva e profonda”.

L’ultima compagna di Champagne raccontò sempre ad Ambelain che lui e Canseliet, condividevano delle stanze di un grande attico al numero 59 di rue de Rochechouart, confermando l’atteggiamento di profondo rispetto di Canseliet e che lo chiamava maestro. Da qui la deduzione che fosse il suo “maestro alchemico” e quindi, Fulcanelli.
Queste e altre tracce non conducono a una verità accertata. Ovviamente Canseliet ha sempre negato tutto e, addirittura, avrebbe incontrato Fulcanelli a Siviglia, rimanendo stupito dalle fattezze dell’uomo che aveva l’aspetto di un cinquantenne, pur avendo 113 anni. Sono decenni che si cerca d’identificare il misterioso alchimista, spuntano tanti nomi e nessuna certezza. Persino il grande musicista americano Frank Zappa scrisse un brano intitolato, But who was Fulcanelli?

http://www.youtube.com/watch?v=isqlsZ1LEGk

Chi era davvero il conte di Saint Germain?

Il conte di Saint-Germain è un misterioso personaggio vissuto nel secolo XVII in Europa. Molti cultori di scienze esoteriche lo considerano un maestro, altri alimentano il mito dell’Immortale al punto da considerarlo ancora vivo. Sulla vita e le avventure del Conte, esisteva un corposo dossier redatto dalla polizia al tempo di Napoleone che venne distrutto nel 1871 dal governo rivoluzionario della Comune di Parigi. Questa circostanza non ha fatto altro che accrescere la leggenda a scapito della verità storica.

La prima volta che il Conte di Saint Germain (nome falso) comparve in Francia era nel 1756. Brillante intrattenitore, appena cinquantenne ma dall’aspetto giovanile, si fece notare per le sue conoscenze di medicina e come alchimista. Non molto alto, i testimoni lo descrivono vestito con abiti sobri e non troppo vistosi come era moda nel Settecento.
Prima di approdare in Francia, Saint Germain era stato a Vienna dove conobbe il generale e di-plomatico francese Fouquet de Belle Isle che aveva contratto una malattia durante la guerra nei territori germanici. Il conte lo aveva guarito e come atto di gratitudine, il generale l’invitò a Parigi dove venne chiamato al capezzale di una donna di corte avvelenata da funghi non commestibili. Saint Germain, dopo averla guarita, entrò nel salotto della favorita di re Luigi XV, Madame de Pompadour. Le donne di corte lo trovavano affascinante e spesso lui si divertiva a sostenere che fosse in vita da qualche secolo. Straordinario affabulatore, fece spaventare una contessa del salotto, Madame Von Gergy, il cui marito era stato ambasciatore a Venezia.
La donna sosteneva di ricordare chi fosse realmente Saint Germain e gli chiese se in quel periodo fosse stato in Laguna. Alla risposta affermativa del conte, la donna ribatté: «Impossibile, signore, l’uomo da me conosciuto aveva all’incirca la vostra età». Saint Germain sorridendo, le disse di essere molto vecchio e descrisse una serie incredibile di dettagli sui luoghi veneziani citati dalla contessa che presa dallo spavento gridò: «Ma allora voi siete il diavolo!»

Un’altra traccia di Saint Germain si trova a Londra dove nel 1745 conobbe lo scrittore Horace Walpole che annotò nel suo diario: “(…) l’altro giorno mi è stato presentato un singolare indi-viduo che dice di chiamarsi conte di Saint Germain. Si trovava qui da due anni e non aveva mai rivelato la sua identità né da dove giungesse … Canta, suona il violino in modo sublime, compone; potrebbe trattarsi di un folle o di una persona eccessivamente sensibile. Lo ritengono tanto un italiano, quanto uno spagnolo o un polacco; qualcuno dice abbia fatto fortuna nel lontano Messico e abbia raggiunto Costantinopoli; altro lo dicono un imbroglione, un prete, un nobiluomo. Il principe di Galles ha cercato di soddisfare la propria curiosità sul suo conto, ma non ha cavato un ragno dal buco …”
La peculiarità del personaggio, unita a un incontestabile simpatia trova conferma nelle parole rivolte a Madame de Hausset, un’altra del giro di Madame Pompadour: «Ci sono volte in cui mi diverto non tanto a convincere la gente a credermi, ma a lasciarla credere che io sono al mondo da tempo immemorabile».

Cosa sappiamo di Saint-Germain? In una lettera autografa datata novembre 1735 lo troviamo all’Aja, in Olanda, ma non ne conosciamo il motivo. Dal 1735 al 1745 era in Inghilterra, dove fu arrestato ingiustamente come spia, riuscendo poi a dimostrare la propria innocenza. Come già detto nel 1755 si era trasferito a Vienna e su invito del maresciallo Belle-Isle andò a Parigi, diventando una delle attrattive dei salotti della capitale. Diceva di vivere grazie ad un elisir da lui stesso brevettato e molti testimoni ricordano che mangiasse pochissimo e spesso si intratteneva con i commensali senza toccare cibo.
Il suo interesse più grande era la chimica e la sua specialità era di ripulire i gioielli dalle impurità, tanto che alla fine il re di Francia decise di aprire un laboratorio al Trianon nella speranza che le tecniche di Saint-Germain risolvessero il problema della cronica mancanza di denaro a corte. Luigi XV nel 1760 lo inviò segretamente in Olanda in missione diplomatica, con lo scopo di son-dare la possibilità di un’alleanza con l’Inghilterra. Per pura combinazione Saint-Germain alloggiava nello stesso albergo di un altro avventuriero, Giacomo Casanova, anch’egli sul posto per conto del governo francese. I due si erano conosciuti e il veneziano ebbe l’impressione che si trattasse di un millantatore come riporta nelle Memorie: “Un uomo straordinario, nato apposta per il re degli impostori e degli imbroglioni specie quando, parlando in tutta tranquillità, come se niente fosse, dice di essere nato trecento anni fa, di conoscere i segreti della medicina universale, di poter padroneggiare le forze della Natura, di saper lavorare e fondere i diamanti … Eppure, nonostante la sua bonaria, la sua sfacciataggine, il suo volto da bugiardo incallito, il suo palese eccentrico modo di fare, eppure, dicevo, non posso proprio affermare che si tratti di un uomo maleducato oppure offensivo”.
Nel frattempo in Francia, il duca di Choiseul ministro del re contrario alla pace con l’Inghilterra, venuto a conoscenza della missione aveva tramato contro Saint-Germain per farlo arrestare. Fu l’ambasciatore olandese a salvare il conte avvisandolo in tempo e consentirgli di scappare a Londra. Saint-Germain invece di starsene tranquillo in Inghilterra cominciò a calarsi nei panni dell’agente in missione segreta e chiese di incontrare l’ambasciatore di Prussia nella speranza di essere accolto alla corte di Federico il Grande. Terrorizzato, l’ambasciatore si era affrettato a scrivere al segretario di stato prussiano per metterlo in guardia dal conte e dal suo fascino ipnotico che avrebbe potuto incantare il re. A questo punto Saint-Germain dovette rientrare segretamente in Olanda, dove acquistò una proprietà sotto falso nome. A corto di denaro, non fu abbandonato dalla fortuna trovando un altro protettore nel ministro dell’Olanda austriaca, Coblenz. Il politico rimase talmente infatuato da scrivere una lettere piena di entusiasmo al cancelliere Kaunitz sulle capacità di Saint-Germain di lavorare i metalli e i tessuti. Coblenz intuendo il potenziale commerciale dei processi industriali brevettati dal conte, aprì uno stabilimento nei pressi di Tournai. Saint Germain si fece anticipare centomila fiorini e sparì consegnando solo una parte dei brevetti e dei segreti pattuiti. Ad ogni buon conto, gli stabilimenti di Tournai funzionarono bene, fecero guadagnare denaro, prova della buona fede del conte.

Gli spostamenti di Saint Germain nei dieci anni successivi non sono noti, sebbene disse di essere stato in India. Certamente era andato a San Pietroburgo diventando amico del conte Alexei Orlov ammiraglio e importante uomo politico russo. Per motivi ignoti il conte si ritrovò a essere nominato generale dell’esercito russo. Nel 1774 è in Germania a Schwabach, sotto la protezione di Carlo Alessandro margravio del Brandenburgo che rimase colpito dal conte e fu testimone della sua grande amicizia con Orlov. Due anni dopo riprese a viaggiare: Lipsia, Dresda, Berlino dove sperava di farsi ricevere da Federico il Grande e poi di nuovo verso nord ad Amburgo. L’ultima dimora conosciuta di Saint-Germain è un laboratorio nei pressi del castello dei Eckenforde, nella regione dello Schleswig-Holstein, ospite del principe Carlo Hesse-Cassel e dove morì nel febbraio del 1784.
Saint-Germain era morto da qualche mese quando cominciarono a circolare le voci su presunte ricomparse e apparizioni. Madame de Genlis era sicura di averlo visto a Vienna nel 1821. Nel 1836 in un libro intitolato Souvenirs, l’autrice, la contessa d’Adhémar, disse di averlo incontrato cinque volte dopo la sua presunta morte e di averlo visto la prima volta a Versailles nel 1793 negli ultimi giorni della monarchia. Nel 1845 Franz Greffer dichiarò nelle sue Memorie di aver visto il conte di Saint-Germain che gli aveva annunciato che sarebbe ricomparso sui monti dell’Himalaya verso la fine del secolo. Un cumulo di menzogne e mezze verità di personaggi in cerca di visibilità. Misterioso fu senza dubbio Richard Chanfray che nel 1972 comparve alla televisione dichiarando di essere il conte di Saint-Germain e mostrando in diretta televisiva un esperimento di mutazione del metallo in oro con un semplice fornello da campo.

Avventuriero carismatico? Maestro custode di una sapienza segreta? L’enigma di Saint-Germain non è stato risolto. Solo l’ambasciatore prussiano a Dresda seppe cogliere un elemento della personalità del conte conforme alla società del Settecento: “una sorta di disordinata vanità sembra costituire il meccanismo del suo modo di essere”.

 

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