Frammentazione e complessità sono le due parole che meglio definiscono lo stato attuale nella società politica e civile. Governare la frammentazione è ormai più che un impegno, una scommessa: ed è sullo stato d’animo che pervade classi politiche e cittadinanza alle prese con l’abbondare degli interessi organizzati, spesso troppi e pretestuosi, che prospera l’ondata di utopismo neoliberale. L’idea dello stato minimo, della semplificazione eccessiva e dell’arretramento del diritto, si nutre dello scoramento, e fa dell’apatia, la propria base di legittimazione. Chi si è convinto che in politica e nella vita, la tirannide del “già dato” o l’atteggiamento autoassolutorio del “tanto non cambia niente” sia sempre rovesciabile, non può esimersi dal tener conto della realtà in cui vuole agire e dall’identificare gli elementi che agiscono nella conservazione dello status quo.

Torna d’attualità l’intuizione di Alain De Benoist: “l’avvenire appartiene a chi saprà pensare simultaneamente ciò che sin qui è stato pensato contraddittoriamente”. I tradizionali poli della cultura politica: destra, centro e sinistra si stanno consumando, perdono di significato, vanno ricomposti, altrimenti restano solo delle locuzioni che indicano dei gruppi in continua rissa per quote di potere. Oltre gli angusti confini di queste categorie di classificazione, può prendere corpo l’idea di nuove identità del pensiero europeo, disarticolando il discorso sviluppato intorno alle bipartizioni orizzontali: conservazione/modernità, tradizione/progresso, occidente/oriente. Ogni dibattito sul futuro delle forme di convivenza politica deve muovere da una dimensione antropologica per giungere, dopo una serie di passaggi, alla dimensione istituzionale.