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Pipa, noir e Nestor Burma

Léo Malet è uno dei grandi del genere poliziesco e noir francese, è da molti considerato il padre nobile. Autodidatta, rimasto orfano a quattro anni, viene allevato dal nonno. Si definiva un anarchico conservatore. Conduce una vita inquieta, cambiando diversi mestieri: commesso, impiegato di banca, magazziniere da Hachette, operaio, lavatore di bottiglie, venditore di giornali e comparsa, più propriamente “generico”, per alcuni film. Frequenta gli ambienti anarchici e collabora alle pubblicazioni del movimento (l’Endehors, l’Insurgé, Journal de l’Homme aux Sandales, la Revue Anarchiste).

Vagabonda a Parigi e nel 1925 debutta come chansonnier al cabaret Vache énragée. Nel 1931, conosce Andrè Breton e viene invitato ad unirsi all’ambiente surrealista dove incontra Dalì, Tanguy e Prévert, partecipando alla vita del gruppo fino al 1949. In questo periodo scrive una serie di poesie surrealiste, poi il movimento decide di espellerlo perché accusato di essere diventato “seguace di una pedagogia poliziesca”. Quell’allontanamento sarà una fortuna, perché lo spinge a dedicarsi definitivamente al noir.

Si sposa con Paulette Doucet e insieme fondano il Cabaret du Poète Pendu, un locale che aveva per programma di “mostrare la lingua agli imbecilli”. Durante il periodo difficile della guerra nel 1941, inizia a scrivere polizieschi firmandosi con svariati pseudonimi: Frank Harding, Leo Latimer, Louis Refreger, Omer Refreger, Lionel Doucet, Jean de Selneuves, John Silver Lee. In particolare con lo pseudonimo di Frank Harding crea il personaggio del reporter Johnny Métal, protagonista di una decina di romanzi gialli. Nel 1943 pubblica 120, Rue de la Gare con cui esordisce il suo personaggio più celebre, l’investigatore privato Nestor Burma.

Burma sarà il protagonista di circa trenta storie, inclusa un’interessante “serie nella serie” intitolata I nuovi misteri di Parigi che va dal 1954 al 1959 e comprende quindici racconti, ognuno dei quali dedicato a un diverso distretto di Parigi. Siamo in un periodo compreso tra gli anni cinquanta e sessanta, periodo del grande successo di del commissario Maigret creato dalla penna di Simenon.

Laddove Maigret è un uomo in ordine, un poliziotto regolare che non si scompone troppo e cerca sempre di mantenere il controllo nei gesti e nelle parole, Burma che non è uno sbirro regolare, ma il titolare dell’Agenzia investigativa Fiat Lux, è il perfetto contrario: sbuffa, sbraita, beve e fuma la pipa con nervosismo. Non mancano nei racconti di Leo Màlet le punzecchiature a Simenon e al suo eroe. Nel racconto “La notte di Saint Germain des Prés”, uno dei personaggi in negativo Lebailly, legge i racconti di Maigret. In una scena, Nestor Burma descrive l’incontro col tipo: “Era contento del suo numero, soddisfatto di avermi fatto perdere tempo. Tamburellai le corna della mia pipa sul libro di Simenon: “Anche queste sono sciocchezze”, dissi. “Non abusare di questo genere di letture. Non che siano più nocive della cronaca nera, lascio questo genere di apprezzamenti ai guastafeste che hanno soppresso le case chiuse (…)

Sarà proprio Nestor Burma a riscuotere i maggiori consensi mentre la critica lo “riscoprirà” parecchi anni più tardi, quando ormai Malet si era messo a riposo, con la trasposizione cinematografica di alcune storie e una serie televisiva dal 1991 al 1995, con protagonista l’attore Guy Marchand. Significativa è anche la collaborazione con il disegnatore Jacques Tardi che illustrerà molte avventu-re di Nestor Burma. La versione a fumetti non altera minimamente le caratteristiche del personaggio: leggermente cinico, di buon cuore, riflessivo, con un debole per le belle donne e un personalissimo concetto di giustizia. Come giallista Léo Malet si è divertito a fracassare alibi e apparenze, svelando l’eterna natura umana, sospesa tra il gesto nobile e l’azione miserabile.

La guerra e il conflitto interiore: i “cani di paglia” di Drieu LaRochelle


La guerra è stata per Drieu La Rochelle (1893-1945) un’esperienza decisiva. In lui coesistevano due atteggiamenti contrastanti: uno incline alla belligeranza e l’altro alla pace.
Per quanto viva fosse la disponibilità all’azione, la guerra è per Drieu un ricordo terribile e attraente perché l’esperienza della trincea gli ha consentito di separarsi da quello stile di vita “comodo” che tanto odiava, ma dal quale non riusciva mai a staccarsi.
Lo scrittore francese ha spazzato via tutti i luoghi comuni della letteratura bellica, egli considera il conflitto armato come la riscoperta dell’istinto originario e carnivoro dell’uomo, eccitato non dal sangue, ma dalla frenesia promessa dalla battaglia.
Nella guerra c’è un equilibrio tra coraggio e paura dominata, nelle descrizioni l’autore non cede mai alle storture proprie del combattente che scrive: la retorica patriottica lo disgusta quanto quella pacifista, le vicende sono narrate senza facili sentimentalismi.
Nel romanzo I cani di paglia, riproposto dalle Edizioni di Ar, la Seconda guerra mondiale fa da sfondo a una storia particolare. Durante l’occupazione tedesca Constant Trubert arriva in una proprietà situata nel nord della Francia, con il compito di sorvegliarla per conto del proprietario conosciuto a Parigi poco tempo prima. Constant entra in contatto con gli abitanti del paese, cogliendone caratteri e umori. Col tempo si accorge che tre personaggi, un gollista, un comunista e un collaborazionista, sono per motivi diversi, molto interessati a quella proprietà. Constant scoprirà la ragione di tanta attenzione: nella casa c’è custodito un deposito di armi e i tre vogliono impossessarsene quando la guerra entrerà nella fase decisiva.
Nella partita entra in gioco un quarto uomo: un giovane nazionalista che sogna una Francia indipendente da ogni ingerenza straniera. Constant è indeciso, da un lato vorrebbe partecipare all’intrigo ma una parte di sé gli suggerisce di sottrarsene. Alla fine, è il nazionalista a dover affrontare tutti i suoi avversari e solo Constant è dalla sua parte, affascinato da quell’idea pur nella convinzione della vanità della stessa. Vede nel giovane nazionalista un uomo coraggioso e nobile, seppur destinato al probabile fallimento.
I cani di paglia pone l’interrogativo tra la concretezza dell’azione e l’idealismo del gesto che tutto cancella. Il romanzo riguarda la storia recente della Francia, raccontata da un testimone degli anni dal 1940 al 1945.
La Rochelle non vuole proporre un analisi, ma evidenziare solo la sostanza morale del protagonista del racconto. Il titolo del libro è un richiamo a un brano del testo cinese Tao Te Ching (Libro della Vita e della Virtù): «Il cielo e la terra non sono indulgenti o benevoli al modo degli uomini: essi considerano gli esseri alla stregua di cani di paglia da impiegare nei sacrifici».

Il potere non è più quello di una volta

Moisés Naím
La fine del potere
Mondadori, 2013

Questo saggio affronta il tema della trasformazione del potere e di come noi lo percepiamo. Per semplificare, il potere non garantisce più gli stessi privilegi di un tempo, nel XXI secolo è diventato più facile da conservare, ma più difficile da esercitare e più facile da perdere.
Dai consigli di amministrazione, ai campi di battaglia, passando per il cyberspazio, le lotte per il potere sono più intense che mai, ma rendono sempre meno e la loro asprezza ma-schera una dimensione evanescente, dove le barriere difensive del potere, un tempo solide, ora sono più semplici da colpire. Ciò non significa che il potere sia scomparso o che non vi siano più soggetti che ne possiedono in abbondanza, solo che chi lo detiene è forse più vincolato, più esposto al monitoraggio esterno. Aristotele sosteneva che potere, ricchezza e amicizia erano le tre componenti necessarie per la felicità individuale. Una definizione semplice del potere può essere questa: la capacità di indirizzare o ostacolare il corso o le azioni future di altri gruppi e individui.
Oppure, in altre parole, il potere è la forza che esercitiamo sugli altri e che li porta a com-portarsi come altrimenti non si sarebbero comportati. Tale approccio pratico non è né nuovo né controverso ma è una definizione di Robert Dahl del 1957 contenuta in The con-cept of power. Moisés Naím fa derivare queste modificazioni da tre trasformazioni che definisce: la rivoluzione del Più, della Mobilità e della Mentalità.
La rivoluzione del Più, contrassegnata da aumenti in ogni ambito, dal numero dei paesi a quello degli abitanti, dal tenore di vita al miglioramento dell’istruzione, passando per la quantità di prodotti disponibili sul mercato; la rivoluzione della Mobilità, che ha messo in movimento persone, merci, denaro, idee e valori a velocità in precedenza inimmaginabili verso tutti gli angoli del pianeta; la rivoluzione della Mentalità che riflette gli importanti cambiamenti in termini di aspirazioni e aspettative che hanno accompagnato questi nuovi sviluppi.
Tali cambiamenti hanno favorito in numerosi campi l’arrivo di nuovi soggetti: innovativi e ribelli, attivisti e terroristi. Hanno offerto svariate opportunità ai militanti democratici e a movimenti politici con programmi radicali e aperto all’influenza politica vie alternative, che aggirano e abbattono la formale rigida struttura interna all’establishment. Aumentata la velocità di propagazione, i movimenti orizzontali hanno rivelato anche l’erosione del monopolio esercitato un tempo dai partiti politici tradizionali.
Nella politica internazionale, i piccoli protagonisti – sia paesi “minori” o entità non statali – hanno acquisito nuove opportunità di interferire, dirottare e ostacolare gli sforzi delle grandi potenze. Questi importanti ed eterogenei piccoli protagonisti hanno alcune cose in comune: il fatto che non necessitano più di grandi dimensioni, di ampio raggio d’azione e di una storia e tradizione per lasciare il segno. Rappresentano l’ascesa di un nuovo tipo di potere – un “micropotere” – che in passato aveva poche possibilità di successo. L’ascesa dei micropoteri e la capacità di sfidare i grandi è un fattore importante della nostra epoca. La decadenza del potere non implica l’estinzione dei grandi protagonisti (governi, eserciti, università, multinazionali), le loro azioni avranno ancora un peso notevole, ma più difficile da gestire.
Moises prende di mira due stereotipi sul potere: uno è la fissazione che Internet possa spiegare tutti i mutamenti avvenuti, soprattutto nella politica e negli affari; l’altro è l’ossessione per il cambio della guardia nella geopolitica: il declino di alcune nazioni (esempio gli USA) e l’ascesa di altre (soprattutto la Cina), vengono presentati come la principale tendenza che trasformerà il mondo come lo conosciamo. Il deterioramento di certe forme di potere non è causata specificamente dalle nuove tecnologie. Internet e gli altri strumenti stanno indubbiamente trasformando la politica, l’attivismo, l’economia e, come è ovvio, il potere. Troppo spesso il ruolo della rete viene frainteso o ingigantito, ma questi strumenti per avere un impatto significativo necessitano di utilizzatori, che a loro volta hanno bisogno di scopi, direzioni e motivazioni.
Il ridimensionamento e la trasformazione del potere come l’abbiamo conosciuto cosa sta provocando? Instabilità e disordine? E se questo caos presuppone ordine e logica?

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