Il 2 febbraio 1870 il Japan Weekly Mail di Yokohama pubblicava un curioso annuncio: “Signor F.Beato, “ha il piacere di annunciare al pubblico di Yokohama e ai viaggiatori in visita in Oriente di avere appena completato una bella collezione di album di varie dimensioni, con la descrizione delle scene, degli usi e dei costumi della gente; realizzato dopo aver visitato tutti i luoghi più interessanti del Paese durante un soggiorno di sei anni”. In basso, l’indirizzo dello studio fotografico dove acquistare i souvenir.
Felice Beato era un veneziano con passaporto britannico, un gaudente pieno di talento, il precursore di un’arte che ha cambiato il mondo di vedere il mondo. Nato nel 1832, in Giappone dal 1863, di professione fotoreporter di guerra, uno dei primi al mondo in un’epoca nella quale la tecnica fotografica muoveva i primi passi. Avventuriero, giocatore d’azzardo, Beato è uno dei tanti le cui vite furono segnate dall’epopea bella e dannata dell’espansione coloniale inglese.
Nessuna biografia ufficiale, non ha lasciato diari o corrispondenze che possano aiutarci a cogliere pienamente la sua personalità. Anne Lacoste, curatrice nel 2010 di una mostra fotografica sulle sue opere presso il Getty Museum di Los Angeles ha confermato questo difficoltà, stesso discorso fatto dallo scrittore Sebastian Dobson: “Beato è un soggetto al tempo stesso interessantissimo e frustrante: le fonti primarie scarseggiano”.
La storia del veneziano può essere ricostruita per lo più attraverso la sua attività di fotografo e viaggiatore. Quanto sappiamo di lui è spesso desunto da lettere e citazioni di personaggi che l’hanno conosciuto e ci raccontano qualche aneddoto.
Nella piccola comunità straniera di Yokohama era diventato un personaggio in vista. Amante della compagnia e del buon cibo, racconta il capitano Sydney Henry Jones-Parry che lo aveva conosciuto durante la guerra in Crimea e ritrovato dopo una sosta a Yokohama. Beato dopo averlo insistentemente invitato presso il club che gestiva, gli aveva fatto conoscere degli amici. “Sono stato presentato a un russo come uno che ha trucidato centinaia di suoi connazionali a Sebastopoli e insieme abbiamo concordato che bere buon champagne con Beato fosse meglio che combattere in Crimea”.
Questo è uno dei tanti aneddoti che aiutano a dissipare la nebbia che avvolge la vita del fotografo che sappiamo da ragazzo visse a Corfù e nel 1844 era con la famiglia a Costantinopoli dove c’è stata la prima importante svolta della sua vita. In mezzo all’opulente decadimento dell’Impero Ottomano, Felice Beato aveva conosciuto l’inglese James Robertson, impiegato alla Zecca imperiale turca che si dilettava nella fotografia. Tra i due si consolida un’amicizia rafforzata dal matrimonio della sorella di Beato con l’inglese. Felice, insieme al fratello Antonio, iniziano come apprendisti nello studio fotografico del cognato che si trovava a Pera, il quartiere fondato dai mercanti genovesi e frequentato dagli occidentali, dove aveva sede il distretto finanziario della capitale.
Negli anni ‘50 dell’Ottocento cominciano una serie di viaggi in Grecia, a Malta e a Gerusalemme. Ormai l’Oriente era tornato a suscitare il fascino per molti europei e se nei decenni passati erano i pittori a descrivere e riprodurre quei luoghi fantastici, adesso con la fotografia i ricchi europei potevano avere un’istantanea di quelle terre senza lasciare il salotto di casa.
La svolta nella carriera di Beato arriverà con il conflitto in Crimea, iniziato nell’ottobre del 1853 che vedeva contrapposta la Turchia sostenuta da Francia e Inghilterra e la Russia imperiale.