Le fonti classiche non ci dicono molto sul ruolo delle donne nella società celtica. Popolo di agricoltori, allevatori e abili mercanti con una rete commerciale molto estesa, avevano un senso del sacro molto elevato, con un pantheon di divinità popolari legate ad ogni clan (Tauath), e, ad un livello più elevato, una religiosità esercitata dai Druidi, incentrata sul culto delle forze naturali. Alcune saghe e dei reperti archeologici ci restituiscono un’immagine della donna celtica dotata di libertà rilevanti e in alcuni casi, di un potere enorme. Sarebbe un errore dedurre che quello celtico fosse un mondo matriarcale ma, quello che si riscontra, è un sostanziale equilibrio di gerarchia, ruoli definiti e ampi margini di libertà.
La dimensione religiosa era quella che esprimeva la più alta considerazione delle donne. L’élite celtica era composta da Druidi e Druidesse forgiata da venti anni di studio di letteratura, poesia, storia, astronomia, erboristeria e medicina oltre allo studio dei riti e della dimensione del sacro. Nei primi documenti romani riguardanti i Celti non si fa menzione di figure sacerdotali femminili, solo nel I secolo d.C., è Tacito a scrivere che “I Celti non facevano alcuna distinzione tra governanti maschi e femmine”. Essendo una cultura prevalentemente orale, è difficile comprendere se ci fosse una commistione tra potere religioso e politico. Alcune tracce confermano l’esistenza di un potere politico da parte di alcune donne, ma sono soprattutto le saghe come il Mito di Finn a descrivere la presenza di druidesse e “donne sagge nel mondo celtico: incantatrici, veggenti e persino esecutrici di riti sacrificali. Nella ricca strutturazione religiosa celtica, oltre certe rielaborazioni romanzesche, c’è una figura divina interessante, portatrice di luce e ombra.
Cerridwen o Kerridwen (si pronuncia Kerriduen) è una delle più antiche divinità del mondo celtico, dea del fuoco che alimenta la coscienza trascendente nel suo calderone magico. Come la greca Demetra e l’egizia Iside è grande fonte d’ispirazione dell’intelligenza e della conoscenza, il fuoco della luce interiore. Tuttavia porta con sé anche degli aspetti oscuri e violenti che ritroviamo nella dimensione della Natura. Il lato ombroso, un po’ ambiguo di Cerridwen si trova nelle descrizioni come donna “bella e spaventosa” ma anche di “strega sorridente”. A dimostrazione delle conoscenze magiche e divinatorie. In una duplice dimensione di luce e ombra, nascita e morte soprattutto in senso spirituale.
Figure del genere sono presenti in tutte le antiche tradizione europee, c’è un flusso suggestivo che attraversa i territori del vecchio continente e si intreccia nel folklore e nelle leggende popolari come quella della Janara della tradizione di Benevento.
Non è divina ma è una figura femminile che aveva conoscenze di erboristeria e arti magiche e come tale, è una donna carica di contraddizioni, portatrice di bene e male. Nella tradizione contadina la Janara è quasi sempre una figura malefica. Secondo la tradizione, infatti, bisognava posizionare davanti alla porta una scopa capovolta o un sacchetto con grani di sale così lei li avrebbe contati fino al sorgere dell’alba, quando la luce, sua nemica, l’avrebbe costretta a scappare, lasciando tranquilli gli abitanti di quella casa.
Ma questa descrizione negativa risente di un’interpretazione troppo condizionata dal Cristianesimo e da una non corretta descrizione dei riti sabbatici. Il suo nome deriverebbe da Dianara, sacerdotessa di Diana o secondo altri, da Ianua, letteralmente “porta”, quella tra la dimensione fisica e metafisica. In quanto donna dotata di saggezza, esiste anche una forma positiva della Janara, dove ritroviamo benedizione, guarigione e benessere spirituale.
E se provassimo ad immaginare una somiglianza tra Cerridwen e la Janara? Entrambe dotate di saggezza, espressione di luce e oscurità, dell’intreccio del bene e del male, del sottosopra tra materia e spirito. Può darsi che la nostra sia solo una suggestione, ma chi ci può vietare di intraprendere percorsi ancora non battuti?