Negli ultimi mesi del 1876, gli anarchici Malatesta e Cafiero avevano deciso di avviare un’azione insurrezionale nella primavera del 1877, scegliendo come teatro delle operazioni il Sannio beneventano e assicurandosi la partecipazione del rivoluzionario russo, Sergej Kravcinskij. Questi, l’anno seguente pugnalerà a Pietroburgo il capo della polizia segreta e sarà noto nei circoli rivoluzionari londinesi con lo pseudonimo di Stepnjak.
Stepnjak aveva l’esperienza giusta per organizzare una guerra per bande, avendo combattuto con i serbi l’anno precedente nella guerra di resistenza contro i turchi.
Adducendo il pretesto che una signora russa aveva bisogno dell’aria di montagna per curare la tisi dalla quale era affetta, Cafiero e Malatesta affittarono una casa nel paese di San Lupo, in provincia di Benevento e vi depositarono diverse casse contenenti munizioni, occultate con oggetti d’uso domestico. Disgraziatamente, il piano venne scoperto dalla polizia e, quando la banda anarchica cominciò a radunarsi, San Lupo era già sotto controllo. Diverse persone, fra cui lo Stepnjak, furono arrestate in una stazione vicina; nella zona vi fu una sparatoria tra anarchici e carabinieri, uno dei quali rimase ferito e morì alcune settimane dopo. Malatesta, Cafiero e una ventina di militanti decisero di prendere la strada dei monti e tentare di scatenare una rivolta nella zona del Matese. Invece di crearsi una base di operazione e da qui cercar di svolgere un’attività di propaganda nei dintorni, si buttarono a testa bassa in un’impresa che le condizioni meteorologiche (era aprile ma c’era ancora freddo e umidità) condannavano in partenza.

In un primo momento la banda ottenne un significativo successo. Giunta una domenica mattina al villaggio di Letino, proclamò decaduto Vittorio Emanuele II e procedette al rito simbolico dell’incendio di tutte le carte dell’archivio comunale, catasto, registri delle imposte, atti relativi a ipoteche ed enfiteusi. A Letino la rivoluzione fu salutata dai contadini con un certo entusiasmo e lo stesso parroco si unì agli insorti. Poi la colonna riprese la marcia, lasciando al segretario comunale e all’oste due pezzi di carta con la scritta, per il primo: «Dichiariamo di aver occupato il municipio di Lentino armata mano in nome della Rivoluzione Sociale, oggi 8 aprile 1877» e, per il secondo: «In nome della Rivoluzione Sociale, si ordina al Sindaco di Letino di pagare lire ventotto a Ferdinando Orsi per viveri forniti alla truppa che entrò in Letino il dì 8 aprile 1877». La scena si ripeté alla tappa successiva, il paese di Gallo; ma ormai le truppe governative erano in marcia per cingere d’assedio il Matese e i contadini mostravano meno entusiasmo. Per due giorni Malatesta e i suoi compagni vagarono in cerca di riparo e nutrimento, finché, affamati e intirizziti, vennero sorpresi e fatti prigionieri.

Il trattamento giudiziario dei ribelli fu indulgente, anche se furono incarcerati per sedici mesi in attesa di giudizio. I reati politici loro ascritti risultarono estinti dall’amnistia concessa il 19 gennaio dal nuovo re Umberto I in occasione dell’ascesa al trono. L’imputazione di «complicità ne’ reati di ferita volontaria, a colpi di arma da fuoco in persona di carabinieri reali nell’esercizio delle loro funzioni», il tribunale di Benevento li assolse nell’agosto 1878. Gli effetti della mancata insurrezione nel Matese furono notevoli.
Sebbene Malatesta e alcuni dei suoi persistessero nel credere di poter conseguire qual-che risultato dando ai contadini dell’Italia meridionale un esempio di rivolta, altri, in particolare Andrea Costa, cominciarono a considerare futili simili gesti e che ogni passo avanti verso una forma di rivoluzione sociale presupponeva una migliore organizzazione e il ricorso all’attività politica anche all’interno delle strutture istituzionali.
Lo scontro era tra coloro che erano convinti di innescare un meccanismo di rivolta attraverso piccole bande di cospiratori (Malatesta) e chi invece, puntava sulla necessità di organizzare una struttura politica. Andrea Costa infatti, decise di presentarsi candidato al parlamento nel 1882 e divenne uno dei più autorevoli esponenti del partito socialista.
Il 9 Febbraio 1878, un giovane, Emilio Cappellini, lanciò una bomba durante una rivista organizzata a Firenze per commemorare Vittorio Emanuele II da poco scomparso: non vi furono vittime e gli anarchici declinarono ogni corresponsabilità diretta o indiretta nel gesto. Nove mesi dopo, un cuoco ventinovenne, Giovanni Passanante, si scagliò su Umberto I mentre passava in carrozza per le vie di Napoli, brandendo un coltello sulla cui impugnatura era scritto: «Viva la repubblica internazionale!» Il re non ebbe che un lieve graffio e il ministro che lo accompagnava rimase leggermente ferito.
Gesto solitario o azione politica pianificata? Quando i monarchici fiorentini organizzarono un corteo per celebrare lo scampato pericolo del sovrano, qualcuno gettò una bomba tra la folla e un’altra scoppiò due giorni dopo a Pisa durante la celebrazione del compleanno della regina. Episodi del genere segnarono la fine della politica di relativa mitezza con cui i tentativi insurrezionali erano stati trattati in sede giudiziaria nel 1874 e 1877. Da allora in poi, i dirigenti anarchici vennero tenuti sotto stretta sorveglianza e minacciati di arresto, detenzione ed espulsione dal Regno. Verso la fine del 1878, Malatesta lasciò l’Italia per iniziare il primo dei suoi lunghi periodi di esilio.