Nel museo di oggetti erotici di San Pietroburgo, tra i dodicimila reperti collezionati dal fondatore, il dottor Igor Knyazkin, è conservato, in un contenitore di vetro cilindrico, un fallo che dovrebbe appartenere a Grigorij Rasputin (1869-1916). Pare che il membro abbia proprietà miracolose: solo a guardarlo curerebbe l’impotenza. Sarà per questo che i Boney M cantavano il ritornello: «RA RA RASPUTIN, Russia’s greatest love machine; It was a shame how he carried on».

Il monaco barbuto dagli occhi spiritati ha concentrato su di sé i giudizi più contraddittori. “Santo e demonio”, “uomo di Dio”, “ciarlatano”, “incantatore”, “profeta” e “mestatore”; ogni biografia sembra fare a pugni con l’altra e quale sia stato il vero Rasputin è difficile capirlo. Come al solito, racconti e testimonianza risentono del grado di simpatia e antipatia rispetto al personaggio. Rasputin ora è un manipolatore capace di farsi ascoltare dallo Zar, ora è un raffinato esoterista vittima delle delazioni invidiose dei nemici.

Si dice virtù pubbliche e vizi privati. La sua principale virtù, quella che lo rese caro alla zarina, Alexandra Fedorovna, la moglie tedesca di Nicola II, è strettamente privata: le miracolose guarigioni in punto di morte dell’unico figlio maschio ed erede al trono, lo zarevich Aleksei, affetto da una malattia del sangue che lo indeboliva. A tal proposito, è opportuno ricordare l’episodio del 12 ottobre 1912 che farà guadagnare punti al monaco siberiano. In quell’occasione dalla corte di San Pietroburgo venne spedito un telegramma della famiglia reale sull’aggravamento delle condizioni dello zarevich ormai vicino alla morte: “I medici sono disperanti. Le vostre preghiere sono la nostra ultima speranza”. Rasputin pare che si sia messo a pregare per diverse ore nella sua casa, cadendo in uno stato di trance. Al termine delle preghiere, invierà un telegramma ai Romanov in cui assicurava la guarigione del piccolo, cosa che effettivamente avvenne nell’arco di poche ore. Cosa accadde realmente nessuno può dirlo con certezza. Rasputin esercitava un fascino magnetico sulle nobildonne di corte, in privato praticava l’ipnosi e spesso lanciava oscure profezie, persino sulla sua morte e il destino dei Romanov. Pubblico è tutto ciò che gli diede cattiva fama: la vita dissoluta (sesso e alcol), il desiderio di potere, la passione per gli intrighi, la confusione tra sacro e profano, l’ingerenza nelle nomine di stato che rafforzarono il suo potere politico.

Stampa dell’epoca, oppositori politici e ambasciatori stranieri avranno pure esagerato, comunque ne andò di mezzo la reputazione dello zar. Padre Grigorij pare non si preoccupasse più di tanto dell’immagine, se faceva “del bene” era solo in privato. Pure le foto – la cosa più pubblica in un’epoca senza tv – hanno contribuito a creare intorno al personaggio un alone solforoso. Colpiscono gli occhi penetranti e il sorriso lusingatore.

«Abbiamo fatto la conoscenza di un uomo di Dio, di nome Grigorij dal governatorato di Tobolsk», annota lo zar Nicola II il primo novembre 1905. Era l’anno della domenica di sangue, del massacro con cui si era conclusa la manifestazione a sostegno degli scioperanti delle officine Putilov e anche quello del conflitto contro il Giappone. L’allora poco più che trentacinquenne santone siberiano era stato presentato a corte dal vescovo Feofan, il confessore della zarina. Figlio di un carrettiere, non era mai stato ordinato sacerdote, faceva parte di una setta cristiana, nessun convento lo aveva accolto, ma possedeva il carisma del mistico capace di creare empatia e di ammaliare attraverso la predicazione.

Nella tradizione culturale russa esiste la figura dello “starets”. Indica una personalità a forte carica spirituale in grado di parlare al cuore delle persone. Una delle figure chiave del romanzo I Fratelli Karamazov di Dostoeviskij è il vecchio Zosima, uomo semplice ma in stretto contatto con l’anima profonda del popolo russo: «Uno starets prende la vostra anima, la vostra volontà, nella sua anima e nella sua volontà. Scegliendo uno starets si rinuncia alla propria volontà e ci si offre a lui in una perfetta sottomissione, assoluta abnegazione», è il modo in cui Dostoeviskij presenta questa figura secolare.

Nicola II, come tutti i sovrani di Russia, non erano immune dal mito popolare. Aveva un interesse per le scienze esoteriche e ospitò molti personaggi dell’ambiente, come il francese Maitre Philippe e il suo allievo Papus che si scontrarono subito con Rasputin.

«Un’antera in cui sono racchiuse tutte le sozzure del mondo», il giudizio sprezzante di Papus. Sulla capacità di Rasputin di migliorare la salute dell’erede al trono, si sono fatte molte ipotesi, le più accreditate fanno riferimento all’ipnosi. La segretezza intorno alla malattia di Aleksei, incoraggiò ogni pettegolezzo sulla fascinazione della zarina per Rasputin. Alexandra era odiata perché straniera e i pettegoli si scatenarono ipotizzando un amore tra i due. Storia difficile da confermare. La soggezione incontrollata della donna si spiegava più con la devozione verso un uomo capace di tenere in vita un figlio malato, rispetto all’attrazione fisica. Un passo di una lettera conferma la dipendenza psicologica della donna: “La mia anima è in pace solo quando tu, mio maestro, mi sei vicino, bacio le tue mani e poggio la tua testa sulle spalle (…)”. Alexandra, arrivò a licenziare la tata del figlio che accusava Rasputin di aver abusato di lei gridandole: «Tutto quello che fa padre Grigorij è santo!».

CONGIURA E MORTE

Certamente Rasputin non fu ammazzato per ragioni morali, per difendere l’onore dello Zar, tanto meno quelle delle sue damigelle. Dei cinque congiurati che lo attirarono all’agguato fatale, la sera del 18 dicembre 1916, il principe Feliks Jusupov, erede di una delle famiglie più ricche di Russia, era famoso per i suoi festini omosessuali. Nelle sue memorie scrisse che Rasputin e la zarina passavano informazioni al Kaiser di Germania Guglielmo II. Invece il granduca Dimitri Pavlovich, non nascondeva l’ambizione di prendere il posto dello Zar, mentre Purishkevic era un deputato ultranazionalista che tuonava contro le “forze occulte” che indebolivano la dinastia. Gli altri gregari della congiura erano il medico militare Lazovert esperto di veleni e l’ufficiale Sukhotin.

Tutti rimproveravano a Rasputin di spingere lo zar a una pace separata con la Germania, ma a molti storici, attribuire al monaco un progetto di politica estera appare una forzatura. Non c’è dubbio che egli si fosse speso molto per convincere lo zar a non farsi coinvolgere in una guerra europea. Lo stesso giorno in cui a Sarajevo fu sparato l’arciduca d’Austria Francesco Ferdinando, il 28 giugno 1914, Rasputin fu aggredito in Siberia con un coltello da una donna che lo mise fuori gioco per un po’. Dirà in seguito che se non avesse subito quell’aggressione, avrebbe definitivamente convinto Nicola II a non fare la guerra.

I congiurati avvelenarono con il cianuro i piatti serviti al monaco, nel corso di una cena a casa di Jusupov. Rasputin mangiò con gusto dimostrando un’incredibile resistenza e così il padrone di casa decise di spararlo “dritto al cuore” mentre Purishkevic completava il lavoro con altri quattro colpi. Il monaco clamorosamente si rialzò. Lo avvolsero in un tappeto e lo trascinarono fino a una macchina che attendeva nel cortile, per gettarlo nella Neva. Ma pare che respirasse ancora e alla fine, secondo una ricostruzione postuma, a dargli il colpo di grazia alla testa fu Oswald Rayner, agente dei servizi britannici, accreditato giornalista a San Pietroburgo e lì presente a poca distanza. Infatti sarebbero stati gli inglesi a organizzare il complotto per evitare che una pace separata tra Russia e Germania, spostasse 350mila soldati tedeschi sul fronte occidentale. Pace che sarà Lenin a concludere l’anno successivo dopo il vittorioso colpo di stato rivoluzionario. Sulla morte di Rasputin ci sono ancora molti punti oscuri e Rayner mantenne il segreto fino alla morte, mentre gli storici si sono sbizzarriti. Tra le leggende che è difficile dire se siano fondate o fabbricate a posteriori c’è una lettera indirizzata allo zar, dove Rasputin preconizzava il suo assassinio e la rovina della dinastia imperiale. La lettera è apocrifa, ma è certo che quando l’intera famiglia Romanov fu uccisa a Ekaterinburg, tutti indossavano le croci che gli erano state regalate dallo starets.

ESSERE RASPUTIN

La cosa che ancora oggi Rasputin evoca ai russi non è il depravato (se lo fu), il santo e nemmeno l’uomo di chiesa coinvolto nella politica di corte e tanto meno il taumaturgo. Rasputin viene considerato una specie di rappresentate delle “forze oscure” che esercitavano influenza negli ultimi tempi della monarchia. Il riferimento non è all’occulto, alla pratica esoterica o alla magia. È semplicemente un’attrazione politica. “Forze oscure” per antonomasia sono quelle che stanno dietro le quinte, mentre fuori il potere mostra il suo volto visibile. Le suggestioni analogiche, sono più forti delle storie concrete.

Il personaggio del monaco intrigante e il suo nome sono diventati una figura retorica che trascende la figura storica. Essere il Rasputin di qualcuno, significa essere colui che sta dietro la scena, rispetto al potere ufficiale. In questo caso forse un contributo viene dal nome stesso. In russo Rasputin evoca “rasput’e” (incrocio), “rasputitsa” (la stagione in cui le strade di terra battuta diventano impercorribili), ma soprattutto “raspushchennost” (dissolutezza, licenziosità), cadere nella dissolutezza è “rasputit’sa”. Una parola talmente evocativa che spinse il giornalista William Safire, cultore di etimologie, in un articolo apparso sul New York Times molti anni fa, ad adombrare una discendenza tra Rasputin e Putin, sulla base dell’assonanza dei cognomi. Per quel che ne sappiamo Vladimir non frequenta maghi e “inciarmatori” ma è curioso che tra coloro che si vantano di essere suoi consiglieri spirituali ci sia padre Shevnukov, archimandrita del monastero di Sretenskij situato sulla via Lubjanka a non più di settecento metri dall’omonima piazza dove si trova la storica sede dei servizi segreti russi, ben nota all’ex kgb Putin. Tra una suggestione e l’altra, Rasputin ci ha spinto sulla strada dove si incontrano politica e religione. È forse un altro trucco del monaco?