Identità è una parola da maneggiare con prudenza, un oggetto che può diventare incandescente. Ultimamente viene ripetuta con assiduità e ricompare con prepotenza in rapporto alla questione dell’immigrazione.
Identità è una parola complessa, occorre uno sforzo di definizione per tracciare il confine tra ciò che si può tollerare e integrare e quel che si deve rifiutare senza mediazioni.
Le semplificazioni non aiutano, ma a volte servono.

Identitari e cosmopoliti si trovano d’accordo nel credere che esiste una relazione tra identità nazionale e integrazione degli immigrati. I primi credono che una maggiore coscienza identitaria possa eliminare parecchi grattacapi. I secondi pensano che il modo migliore per facilitare l’inserimento, consista nel favorire la dissoluzione dell’identità nazionale. Le premesse sono identiche, le conclusioni opposte, ma entrambi sbagliano.

L’affermazione dell’identità italiana (ed europea) non è un ostacolo all’integrazione, a sua volta l’immigrazione è problematica perché l’identità nazionale è incerta, smarrita e da ritrovare. Solo recuperandola si potranno smorzare e in parte risolvere le tensioni legate all’accoglienza e all’inserimento.
Nelle forme attuali l’immigrazione aggrava la conflittualità in un contesto già degradato, dove vince l’ossessione del consumo, il culto del “successo” materiale e finanziario, la dissociazione tra avvenire individuale e destino collettivo, dove gli immigrati non sono altro che gli ultimi, in ordine di tempo, da catturare e inserire nel meccanismo mercantile.

Bisogna interrogarsi profondamente sulla nozione di identità.

Porre l’attenzione sull’identità italiana non consiste nel chiedersi chi è italiano, ma piuttosto sul chiedersi cosa è italiano. Non basta rispondere con reminiscenze commemorative o evocazioni di grandi personaggi storici. L’identità di un popolo non è semplicemente la somma della sua storia, dei suoi costumi e dei suoi caratteri dominanti. È qualcosa di inconscio e di molto più forte, difficile da esprimere con parole e concetti, è una sostanza da risvegliare.

Ti starai chiedendo: ma tu hai una risposta definitiva? No e lo scrivo senza reticenze. Mi pongo dei dubbi e non mi proteggo dietro convinzioni fragili. Mi preoccupo perché auspico che una cultura politica che si mobilita intorno all’Identità, sia in grado fare un salto grande di qualità. L’identitarismo della pastasciutta va bene solo in osteria.