Una vita in continuo movimento, il viaggio, di lavoro o di piacere, come impulso emotivo: “Per quanto torni indietro con la memoria, trovo sempre questo desiderio d’essere altrove, implacabile e tenace come una ferita, gli atlanti geografici spalancati”.
Paul Morand scrittore e diplomatico francese nato a Parigi nel 1888 da buona famiglia, educato a Oxford poco più che ventenne è già in carriera e in società ma, è nel decennio compreso tra il 1920 e il 1930 che marca il segno e racconta quegli anni folli, turbolenti, frettolosi popolati da uomini e donne sopra e sotto le righe.
“Ciascuno di noi ha dieci anni di tempo per cantare la propria canzone”. Un invito a non sprecare tempo o più probabilmente a dargli la giusta intensità. Durante la prima guerra mondiale è a Londra, il suo “Journal d’un attaché d’ambassade, è lo straordinario ritratto dell’Europa e della Francia che ancora sono convinte di essere il centro del mondo e non sanno che la guerra sarà l’inizio del declino. Pagine dove si raccontano storie e non manca il campionario di personaggi e battute sarcastiche. Nei corridoi dell’ambasciata si ride degli alleati, dopo le operazioni navali nello stretto dei Dardanelli che causarono un mucchio di perdite, “Churchill è la iettatura fatta uomo”. Osservando quel che accade a Parigi, Morand si rende conto di una nazione sotto il controllo di gente vecchia nell’anima prima ancora che per l’età, capace di attraversare tutte le stagioni politiche senza rinnovarsi. “Uno di questi giorni rispunterà persino Talleyrand. Il nostro turno verrà nel 1960. Non è per avidità che ho fretta. Al contrario è perché non tengo abbastanza alle cose per desiderarle a lungo”.
Cala il sipario sul conflitto: morti, feriti, macerie, nuovi equilibri politici e il desiderio di lasciarsi tutto alle spalle e riprendere la vita. Ci si vuole stordire un po’, divertirsi e pensare senza complicazioni. Morand è pronto a esaudire questo desiderio.
“Da non lasciar leggere alle ragazze”, è lo slogan della campagna pubblicitaria del suo libro di racconti, Ouvert la nuit, pubblicato nel 1923. Un successo editoriale pazzesco, diecimila copie in undici giorni. Uno stile di scrittura per un autore pieno di curiosità: immagini e frasi fulminanti che descrivono lo spirito del tempo. Tre anni dopo pubblica Fermé la nuit. Sono le pagine di un cronista mondano che descrive con ironia ambienti in declino e l’oscurità di chi mette a riposo il decoro borghese quando è possibile.
“Mi misi a leggere i tratti della mia compagna di viaggio, come una mappa per non sbagliarmi strada. Ci tenne a definire la sua posizione rispetto ai differenti partiti politici spagnoli. Da parte mia misi così tanta volontà nell’ascoltarla che mi addormentai”.
Gli anni Venti sono stati definiti folli ed hanno anche l’impronta Morand: pochi sono stati capaci di raccontarli e comprenderli come lui, con delicatezza e ferocia, senza farsi travolgere. Sono anni belli e tragici, pieni di progetti effimeri, personalità dirompenti, falliti, promesse mancate. Si crede poco o nulla in quel che si fa, ma si è disposti a tutto. La crisi finanziaria del 1929 suonerà le campane a morto, le vecchie democrazie corrotte divoreranno la politica e si prepareranno le svolte autoritarie. I racconti di quel periodo descrivevano il declino dell’Europa con compostezza ed eleganza, senza lacrime, senza nostalgie per i bei tempi andati, prendevano atto della realtà, sapendo che sarebbero stati in pochi a custodire la memoria e lo stile di quella civiltà.
Da una città all’altra, Paul Morand descrive con leggerezza le più diverse geografie sentimentali e sociali: “Una signora scollata, che mi volgeva le spalle, disse in un buon francese: ‘E allora, cosa mangiamo?’, con tanta autorevolezza che la presi per l’ospite della serata. Ma dopo che i piatti furono scelti, invece di chiamare il cameriere tirò fuori dalla tasca un taccuino e vi scrisse le ordinazioni”. Quella donna è una delle tante nobili russe fuggite dalla rivoluzione bolscevica che affollano i locali di Istanbul come cameriere o prostitute.
Nell’inverno del 1946 in un albergo di Saint Moritz in Svizzera incontra Coco Chanel, trascorrono insieme parecchie serate e fanno lunghe chiacchierate. Nella breve introduzione del libro che le dedica definisce la stilista, di cui era noto non solo il genio creativo ma anche il pessimo carattere, “un angelo sterminatore di uno stile”, “un cuore di selce”, “una nemesi” e su quelle conversazioni dirà: “C’è il lato d’ombra di Chanel, la sua sofferenza, il suo gusto di far male, il bisogno di castigare, la fierezza, il rigore, il sarcasmo, la rabbia distruttiva, l’assoluto di un carattere che suggeriva il caldo e il freddo, il suo genio inventivo, saccheggiatore (…)
Sintetizzare efficacemente la quantità di scritti e generi letterari di Paul Morand non è semplice: romanzi, novelle, reportage giornalistici su argomenti difformi, in quelle pagine si avverte il brusio metropolitano, il vibrare dei treni, il rumore degli aerei e delle navi. Non c’è nazione che gli sfugga, in Rien que la terre comprime in poche pagine, Giappone, Cina, Filippine, la penisola indocinese. Intuisce l’avvento del turismo di massa, la restrizione e l’invasione degli spazi, il viaggio come consumo e la lotta tra nazioni ricche e stanche contro quelle povere piene di energia.
Morand ha un tratto politico, è l’incarnazione di una destra elegante, colta e aristocratica, cosmopolita che disprezza il disordine e la mescolanza che diluisce le identità e riduce le tradizioni a folklore mercantile. Assertore delle diversità e di un nazionalismo sapiente. È una destra curiosa, informata, che lanciava mode e scopriva tendenze, con un’anima popolare e lo stile aristocratico, rivoluzionaria nel suo voler stare dentro la realtà. Una destra coraggiosa e non ansiosa di apparire secondo i desideri dell’avversario, non preoccupata del consenso, galante e bellicosa laddove fosse necessario.