La moneta unica ha sostanzialmente il vantaggio di ridurre i costi di transazione dovuti all’incertezza del cambio ma questo ha un impatto macroeconomico poco significativo. Vale la pena conservare un’unione monetaria così strutturata con squilibri troppo forti? Pensateci bene: se un gruppo di nazioni avesse istituzioni politiche e fondamentali macroeconomici perfettamente allineati e stabili, sarebbero tali anche i tassi di cambio tra le varie monete e l’incertezza sarebbe trascurabile. Il vantaggio dell’unificazione monetaria emerge laddove i sistemi economici coinvolti non sono omogenei e non esistono forze che tendono a farli convergere, per cui i tassi di cambio sono relativamente incerti o divergenti. La moneta unica implica la rinuncia a un elemento di flessibilità (quello del cambio) utile per assorbire eventuali shock o compensare divergenze strutturali.

LA TEORIA DELLE “AVO”
La teoria delle AVO (aree valutarie ottimali) spiega come risolvere i problemi derivati dall’abbandono della flessibilità del cambio, attraverso l’introduzione di altri elementi di flessibilità: maggiore movimento dei fattori di produzione, più flessibilità dei salari, maggiore diversificazione produttiva. Se questo manca, occorre almeno che i tassi d’inflazione fra i paesi membri convergano, altrimenti la scarsa competitività nei paesi ad alta inflazione causerà deficit esteri con le conseguenze che già conosciamo. Infine se ciò non accade, ci vorrebbero delle istituzioni che vadano a correggere gli squilibri attraverso il coordinamento delle politiche fiscali. Detto in parole semplici, chi accumula di più, dovrebbe trasferire risorse a chi ha meno, per compensare. Facilitare il trasferimento delle risorse però cura il sintomo, ma non la malattia. Gli economisti che negli anni passati hanno sostenuto che l’euro avrebbe creato da solo le condizioni per correggere gli squilibri ed essere sostenibile ma si sbagliavano.

Presentare la teoria delle AVO, come una necessità tecnica è scorretto, semmai siamo dentro una concezione di riduzione del danno: l’euro è una scelta politica, dettata da ragioni politiche, mentre in economia l’altruismo non è obbligatorio, l’integrazione fiscale è politicamente difficile da sostenere perché nessuno vuole pagare per gli altri.
 
BCE AIUTAMI TU…
Ora va di moda chiedere alla Banca Centrale Europea di agire come “lender of last resort” (prestatore di ultima istanza), come la FED americana, attraverso operazioni di “quantitative easing” (facilitazione quantitativa), vale a dire aumentando la creazione di moneta. I motivi sono due: nel lungo periodo questo aumenterebbe l’inflazione sia nei paesi del “centro” che in quelli della “periferia” (ricordate il ciclo di Frenkel)
D’accordo, ma a che serve alzare l’inflazione media europea, se poi la Germania ne ha sempre un po’ di meno rispetto agli altri, conservando lo stesso vantaggio competitivo? L’unico risultato è quello di dare un po’ di fiato alle finanze pubbliche dei paesi periferici, in modo che abbiano qualche cartuccia da sparare prima che le loro finanze private torneranno in crisi, avendo accumulato passività verso il nucleo centrale dell’Europa.
“Stampare moneta!” è il grido di battaglia. Negli Stati Uniti, il bilancio federale compensa con trasferimenti notevoli verso gli stati dell’unione più poveri, ma ciò non crea una situazione di equilibrio perfetto, ma è sicuramente migliore che non fare nulla.
 La storia ci offre un esempio proprio a casa nostra: con l’unificazione dell’Italia gli squilibri tra i vari stati che la componevano non sono stati corretti. Onestamente, voi ce la vedete la Germania agire in tal senso compensando lo squilibrio con trasferimenti di denaro a quei paesi che le hanno consentito di accumulare un vantaggio economico, grazie alla loro domanda interna? Invece di abbaiare contro Berlino, a parti invertite noi saremmo stati così generosi?
State facendo il gesto dell’ombrello lo so…