La gran parte delle idee che ispirarono il movimento anarchico si devono a Proudhon, ma fu il russo Bakunin a foderarle di passione e culto dell’azione. Bakunin produsse una frattura negli ambienti rivoluzionari, mostrando quale distanza nella teoria e nella pratica, separasse l’anarchia dal comunismo marxista. Più di ogni altro contemporaneo, egli saldò il movimento rivoluzionario russo con quello del resto d’Europa. La fede nell’utilità della violenza politica e nella tecnica del terrorismo, condizionò il modo di pensare dell’ambiente sovversivo.
Mikhail Bakunin nasce nel 1814 nella provincia di Twir, a 250 km da Mosca, figlio di un nobile di provincia. Fin da giovane rivela la propria indole ribelle, con un gusto dello scandalo e del dramma che non perdette mai.
Il suo carattere è descritto bene in una lettera dell’amico e critico Belinskij: «Un uomo meraviglioso, una natura profonda, elementare, leonina – non lo si può negare. Ma le sue pretese, la sua fanciullaggine, la sua millanteria, la sua mancanza di scrupoli, la sua insincerità: tutto questo impedisce d’essergli amico. Ama le idee, non gli uomini. Vuol dominare con la sua personalità, non amare».
L’interesse per la politica ebbe inizio nel 1835 dopo un breve periodo di servizio militare, quando bazzicava il milieu filosofico e letterario moscovita, diventando amico di Belinskij con il quale si appassionò alla filosofia tedesca. Bakunin interpretava il messaggio di Hegel nel senso del culto della libertà e della rivolta personale. Recatosi a Parigi nel 1840 ed entrato in rapporti diretti coi circoli internazionali di cultura radicale, conobbe sia Proudhon che Marx. Come i rapporti fra questi due rivelarono insieme il con-trasto caratteriale e le diversità fra le dottrine, così i primi contatti fra Bakunin e Marx anticiparono, in un certo senso, il grande scisma di vent’anni dopo. Così il primo ricordava: «Non c’è mai stata franca intimità, fra noi. I nostri temperamenti non lo permettevano». E aggiunge: «Marx mi chiamava un’idealista sentimentale e aveva ragione; io lo chiamavo un vanitoso perfido e dissimulatore, e avevo ragione».
Durante i suoi viaggi in Francia e Germania, Bakunin scrive molti articoli, ma un carattere passionale e violento come il suo, desidera l’azione. Le rivoluzioni del 1848 gli danno la possibilità di emergere come una delle figure principali del radicalismo politico europeo.
Poco prima delle giornate di Parigi (22-24 febbraio 1848), i suoi legami con le organizzazioni dei profughi polacchi avevano attirato l’attenzione della polizia. Nel dicembre 1847, il sostegno incondizionato alla lotta polacca contro il dominio russo, provoca l’espulsione da Parigi.
Durante l’insurrezione di febbraio, riappare nella capitale francese e un mese dopo, tenta di raggiungere la Polonia per organizzare una rivolta. Giunto a Berlino viene arrestato e rimesso in libertà a condizione di non superare la frontiera. Dirotta quindi su Praga dove stava per aprirsi il congresso panslavo e qui per la prima volta, avrà una tribuna pubblica di rilievo dove esprimersi. Il suo pensiero non fu mai molto profondo e sistematico, né particolarmente originale; in una lunga vita piena di dedizione alla causa rivoluzionaria, egli si espresse più con atti cospirativi e di ribellione che attraverso le teorie. Bakunin era un uomo d’azione poco incline alla retorica palingenetica, per questo rimproverava Marx con una battuta, accusandolo di guardare «gli operai trasformandoli in teorici».
Scrive al poeta tedesco Herweg: «La rivoluzione è più un istinto che un pensiero; agisce e si propaga come istinto, e come istinto darà anche le sue prime battaglie. Non credo né alle costituzioni né alle leggi. La migliore delle costituzioni non potrebbe soddisfarmi. Di altro abbiamo bisogno: di passioni e di vita, e di un mondo nuovo senza leggi e per conseguenza libero». Per Bakunin l’atto di distruzione è sufficiente di per sé, in quanto il gesto rivoluzionario che abbatte la società nelle fondamenta, svelerebbe le virtù profonde insite negli uomini. Dagli scritti successivi al congresso di Praga, emerse anche un entusiasmo slavofilo non privo di accenti anti-tedeschi che aggraverà il contrasto con Marx.
Un’altra passione di Bakunin era quella cospirativa, quella per la costituzione di società segrete in gran parte immaginarie. Per tutta la vita, egli si considererà un grande cospiratore al centro di una rete di organizzazioni clandestine da lui controllate, e almeno in teoria, basate su una struttura rigidamente gerarchica. Ogni tanto spuntava qualche comitato centrale di cui spesso era l’unico componente. Eppure, le voci intorno a queste organizzazioni, spinsero molti giovani alla ricerca di contatti con le cellule di una cospirazione spesso presente solo nella mente di “Michele”.
Bakunin distribuiva tessere ed incarichi dell’Alleanza rivoluzionaria universale, simili stratagemmi oltre ad essere utili alla diffusione delle idee, mandavano in confusione gli apparati di polizia.
Nell’inverno 1848-49 Bakunin è in Sassonia per partecipare all’insurrezione di Dresda, l’ultimo colpo di coda prima di una nuova fase di normalizzazione. Quella di Dresda era più che altro una protesta contro lo scioglimento, ad opera del Re, della Dieta, l’organismo parlamentare locale. Partecipa ai disordini anche il musicista Richard Wagner ma il moto rivoluzionario fallisce e Bakunin viene arrestato, iniziando un lungo periodo di detenzione che lo renderà ancora più memorabile.
Le autorità sassoni lo consegnano agli austriaci che all’inizio vorrebbero processarlo per i fatti di Praga e la propaganda contro l’impero asburgico, ma poi sotto pressione, lo consegnano alle autorità russe. In carcere rimane dal 1851 al 1857, quando la pena viene commutata nel domicilio coatto in Siberia e di qui, rilasciato sulla parola, riesce a scappare fino a Londra.
L’evasione è stata possibile grazie alla corruzione di alcuni funzionari russi, tanto che qualcuno insinuava che Bakunin fosse una specie di informatore per conto della polizia zarista. Un’accusa non dimostrata e che sarà continuamente riesumata nelle polemiche del decennio successivo tra i vari gruppi di militanti che si contrapponevano.
Inoltre, come Proudhon si era reso sospetto a molti radicali, per i suoi atteggiamenti concilianti col bonapartismo, così Bakunin, nella prima fase della prigionia, aveva scritto uno strano documento, Confessioni allo Zar, in cui, chiedeva la grazia all’Imperatore e lo supplicava di porsi alla testa del mondo slavo. Il testo probabilmente estorto, sarà utilizzato per attaccare Bakunin, nelle polemiche degli anni successivi.
Bakunin è fuggito dalla Siberia nel 1861 e con serie di tortuosi spostamenti arriva a Londra e lì si trova al centro del movimento sovversivo internazionale. Trova ospitalità presso due esuli russi, Ogarev ed Herzen e da quest’ultimo verrà a dipendere finanziariamente.
Il suo prestigio tra i gruppi rivoluzionari era immenso; né le voci maligne sulla sua fuga potevano oscurare la reputazione conquistata durante l’attività rivoluzionaria nel 1848-49. Colpiva anche il suo aspetto fisico: alto, massiccio, energico ma di una semplicità a tratti infantile.
«La sua attività, la sua infingardaggine, l’appetito e tutto il resto», scrive Herzen, «al pari della sua statura gigantesca e del continuo sudare, tutto era fuori delle dimensioni umane, come lui stesso, ed egli era un colosso dalla testa leonina, dalla criniera arruffata».
Il forte carisma, oltre ad affascinare, attenuava alcuni difetti come l’assoluta mancanza di scrupoli in fatto di denaro, l’impetuosità e una certa petulanza. Bakunin rimane a Londra circa tre anni e, sebbene facesse visita a Marx, non sembra che abbia avuto un ruolo attivo nella creazione dell’Internazionale. Nel 1864 l’anno in cui si forma l’Internazionale, Bakunin si stabilisce in Italia e qui vive per tre anni prima a Firenze e poi a Napoli dove troverà i militanti più fedeli.
Nell’Italia del decennio 1860-70 il fascino dell’anarchismo rivoluzionario di Bakunin dovette in effetti rivelarsi notevole. Siamo in una fase di appannamento del pensiero di Mazzini che pure aveva tanto influenzato i repubblicani duri e puri, ma quel liberalismo che aveva profetizzato l’unità nazionale, è considerato dalle nuove generazioni un po’ troppo sterile. Al contrario Bakunin, infiamma come leader perché ipotizza una trasformazione totale da concretizzarsi nel momento della rivoluzione politica.
Inoltre, i giovani radicali napoletani con i quali Bakunin stringe rapidamente amicizia, sono fautori delle idee federaliste di Proudhon diffuse da Carlo Pisacane, in contrappo-sizione alla struttura istituzionale centralistica voluta dai Savoia.
Bakunin trova in Italia meridionale un contesto adeguato alla propria mentalità politica. Mentre per Marx la rivoluzione presupponeva l’esistenza della grande industria moderna e di un proletariato cosciente dei propri interessi di classe, per Bakunin le cose erano molto più semplici e si poteva tranquillamente organizzare una ribellione in un contesto poco industrializzato come quello italiano o russo. Bakunin è semplicemente convinto delle potenzialità rivoluzionarie di chi non ha niente da perdere e non del ceto operaio più istruito che in qualche modo si “imborghesisce”.
Nel periodo del soggiorno italiano, Bakunin riunisce un gruppo di militanti che sarà l’avanguardia dell’anarchismo in Europa. Sempre in Italia fonda la prima delle organizzazioni internazionali, la Fratellanza rivoluzionaria, e Marx, sebbene avesse già costituito a Londra l’Associazione internazionale dei lavoratori, non solo non la considera una seria concorrente, ma vede nell’attività italiana di Bakunin un mezzo per arginare e ridurre l’influenza di Mazzini.
Senonché, prima che il movimento in Italia mettesse solide radici, Bakunin, i cui spostamenti erano sempre determinati dalla situazione finanziaria, si trasferisce in Svizzera, e qui nel 1867, trascorre il periodo denso di attività politica. Nella Repubblica elvetica si trova al centro di innumerevoli complotti, intrighi e progetti insurrezionali. Il carattere esuberante, la passione per la congiura, la fede nelle potenzialità rivoluzionarie di alcune nazioni, il suo modo di vivere bohemien e i numerosi amici di cui si circonda, lo spingono in situazioni difficili. A differenza di Marx, è sicuro che la rivoluzione abbia maggiori possibilità di spuntarla nei paesi arretrati, con una buona guida e un’adeguata mentalità, senza aspettare lenti processi di educazione e consapevolezza.
L’affare “Necaev”. Nel 1869 accade un fatto curioso. In Svizzera arriva un giovane di ventidue anni, Sergej Gennadievic Necaev, il quale diceva di essere evaso da un carcere russo. Ex uditore dell’Università di San Pietroburgo, Necaev è in cerca di collegamenti internazionali per organizzare delle cellule insurrezionali in Russia. La storia della fuga dal carcere è una millanteria per accreditarsi come militante rivoluzionario di spessore. L’amicizia tra Bakunin e Necaev, ebbe una grande importanza nell’ambiente anarchico, ma fu per il primo fonte di amarezze e traversie politiche.
Nečaev era un rivoluzionario d’istinto, un nichilista puro, un uomo cupo, tortuoso e solitario, un po’ esibizionista, fanatico, idealista e malvivente. Di umili origini, visse in un periodo convulso della storia russa: il 4 aprile del 1866 Dimitri Karakozov aveva sparato alcuni colpi di pistola allo zar Alessandro II mancando il bersaglio. L’episodio fu impressionante per molti giovani dell’ambiente universitario estremista che leggevano gli scritti di Buonarroti.
A Mosca, Necaev aveva incontrato Petr Nikitin Tkacev, un duro dell’estremismo politico che proclamava la necessità di formare un’avanguardia di rivoluzionari professionisti e che sarà, più tardi, uno dei punti di riferimento di Lenin. Tkacev seppur ammiratore di Bakunin, era dell’idea che un movimento politico rivoluzionario dovesse dotarsi di una struttura efficiente e con Necaev, scrisse nel 1868 un Programma di azione rivoluzionaria, dove si conciliavano alcune idee anarchiche con l’esigenza di una forte disciplina interna. Soprattutto, era richiesto ai militanti uno spirito di sacrificio totale e l’abbandono dei legami troppo stretti che potessero distrarli dall’attività politica.
Quando Nečaev arriva a Ginevra, nella primavera del 1869, con una quantità di storie, per lo più inventate, sul suo passato rivoluzionario, trova Bakunin pronto a collaborare con lui e a mettersi alla testa della nuova generazione rivoluzionaria in Russia. I due probabilmente compilarono insieme il famigerato Catechismo del rivoluzionario e altri scritti, dove si fondevano tre elementi esplosivi: il disprezzo dei valori della società esistente, l’anarchismo e il sottofondo nichilista.
«Il rivoluzionario disprezza e odia la morale sociale attuale in tutti i suoi atti istintivi e in tutte le sue manifestazioni. Per lui, morale è tutto ciò che favorisce il trionfo della rivoluzione, immorale e criminale tutto ciò che la impedisce. Tutti i sentimenti affettivi, i sentimenti di parentela, di amicizia, di amore, di riconoscenza, devono essere spenti in lui dalla passione unica e fredda dell’opera rivoluzionaria. Notte e giorno egli deve avere un solo pensiero, un solo scopo: la distruzione implacabile».
E ancora:
«Poiché non ammettiamo nessun’altra attività che quella della distruzione, noi ricono-sciamo che le forme nelle quali deve esprimersi questa attività possono essere estremamente varie: veleno, pugnale, nodo scorsorio ecc. La rivoluzione santifica tutto senza distinzione. Così il campo è aperto!»
Un elogio così appassionato del terrore, in cui la violenza è accettata non solo come necessità politica, ma come un fine in sé, non si trova negli altri scritti di Bakunin, segno del grado di influenza di Necaev nella stesura finale. Tanto bastò per introdurre nel movimento anarchico un elemento destinato a permanervi e a suggerire quella dottrina della propaganda mediante fatti concreti, che sarà la molla segreta di tante azioni terroristiche nel trentennio successivo. Prima di rientrare in Russia, Nečaev ipotizzava un’azione immediata, personale e violenta:
«Senza risparmio di vite, senza arrestarci di fronte a nessuna minaccia, timore o pericolo, dobbiamo – con una serie di atti e sacrifici susseguentisi secondo un piano mediato e stabilito, con una serie di tentativi arditi per non dire temerari – buttarci nella vita del popolo, onde risvegliarne la fede in se stesso e in noi, la fede nella propria potenza, onde scuoterlo, unirlo e spingerlo verso il trionfo della sua causa. Abbiamo un piano unicamente negato, che nessuno potrà modificare: la distruzione completa».
Il curriculum rivoluzionario di Necaev non fu brillante. Rientrato a Mosca, uccide uno studente della sua organizzazione sospettato di tradimento poi, fugge di nuovo a Gine-vra. Qui prende contatti con la figlia di Aleksandr Herzen per sottrarle denaro e comin-cia a brigare contro Bakunin, finché nel 1872 viene consegnato alla polizia russa e muore dopo dieci anni di prigionia.
Bakunin si sfogherà in quel periodo con parecchi amici, ammettendo di essersi fatto prendere la mano e aver dato troppa fiducia a un losco avventuriero. La breve collabo-razione tra fece germinare il seme della lotta armata e del terrorismo individuale nel campo anarchico con risultati che si dimostreranno duraturi. Dal 1870 in poi ampi spezzoni del movimento saranno disposti a compiere una serie di attentati come gesto estremo di ribellione verso la società. In tutta Europa il terrorismo diventa un’arma politica riconosciuta e, in qualche caso – come quello della congiura che porta all’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando nel 1914 – si rifà all’esempio dato dagli anarchici.
L’incontro tra due rivoluzionari. L’affare Necaev, se assorbì molte delle energie di Bakunin nel bienno 1869-70, non fu però l’episodio più importante del soggiorno svizzero. Egli rimase implicato nella politica operaia locale e allo stesso tempo nei contatti con gli anarchici di molti paesi europei.
Proprio nella repubblica elvetica, avvenne un episodio curioso. Nel settembre 1867, si tenne a Ginevra il congresso di un’eterogenea organizzazione liberale detta Lega della Pace e della Libertà, con la partecipazione di Garibaldi, Victor Hugo e John Stuart Mill.
Bakunin era ormai una figura europea abbastanza nota, Garibaldi era leggendario e quanto sembra, i due nutrivano un’istintiva simpatia reciproca, dovuta alla devozione per le cause rivoluzionarie, nonostante le profonde divergenze di dottrina e tattica politica.
Un testimone oculare, l’anarchico austriaco Max Nettlau, ricorderà: «Quando, col suo passo pesante e lento, salì gli scalini della piattaforma dove era seduto l’ufficio di presidenza, vestito come sempre trascuratamente con un abito grigio sotto il quale si vedeva non una camicia ma una maglia, si gridò qua e là: Bakunin!
Garibaldi, il presidente, si alzò, fece qualche passo verso di lui e gli diede l’abbraccio. Questo incontro entusiastico di due vecchi e provati combattenti della Rivoluzione fece una straordinaria impressione. Sebbene ci fossero non pochi suoi avversari nell’immensa sala, tutti si alzarono e gli applausi entusiastici non finirono più».
Il rivoluzionario russo, spese gli ultimi anni in un continuo e incessante lavoro politico e fu testimone della convulsa rivolta di Parigi del settembre 1870 dove si impose la re-pubblica e dell’esperienza socialista della Comune di Parigi del marzo-maggio 1871 che lo lasciarono scettico, con tutto lo strascico di repressioni, polemiche e diatribe tra modi differenti di concepire l’attività politica rivoluzionaria.
Nel 1874 prese parte alla preparazione di un’insurrezione a Bologna, nella speranza di innescare una rivolta spontanea in tutta la Penisola, ma come altri tentativi, anche que-sto si rivelò disastroso. Costretto a fuggire in Svizzera travestito da prete, lì morì il primo luglio 1876. L’anno prima aveva scritto ad Elisée Reclus: «La rivoluzione per il momento è tornata nel suo letto: ricaschiamo nel periodo delle evoluzioni, cioè di quelle rivoluzioni sotterranee invisibili e, spesso inavvertite».
Il grande merito di Bakunin è stato quello di aver posto maggiore attenzione all’acquisizione di una mentalità rivoluzionaria, prima ancora di procedere alla formazione di un’organizzazione e fu questo il suo maggiore punto di contrasto con i marxisti.