“Epperò non sono mai mancati i selvaggi ebbri della vita, mai gli aristocratici del sogno, sereni e cupi, i guerrieri, i lanzichenecchi e gli avventurieri; in poche parole, non sono mai mancati coloro per i quali il mondo dei datori di lavoro e degli stipendiati, degli affari e del denaro è del tutto indifferente”.
Ernst Jünger, Il cuore avventuroso
C’è un libro di Jean Jacques Langendorf, “Una sfida nel Kurdistan”, esemplare di un certo modo di essere e di stare al mondo. Racconta di una giovane spia tedesca in Medio Oriente durante la seconda guerra mondiale, un terreno di manovra in apparenza secondario rispetto al campo di battaglia europeo, dove egli ha la possibilità di giocare la sua partita della vita. Con il passare dei giorni, il protagonista si rende conto che quel a lui interessa, non sono tanto le implicazioni politiche della missione, ma la sensazione di essere artefice del proprio destino e non una semplice pedina di un gioco. Langendorf da storico aveva scritto un perfetto romanzo di avventura, senza aver dovuto provare necessariamente quell’esperienza per raccontarlo. Aveva definito un modo di porsi nei confronti della vita, un antidoto contro quest’ansia di successo, consumo e denaro, dove l’insignificante è portato a livelli esasperati. Testimonia come nelle pieghe del quotidiano si può provare l’inebriante libertà dell’avventuriero.
In un’intervista del settembre 2022 pubblicata sulla rivista Livr’Arbitres a proposito di questo libro, Langendorf aveva dichiarato:
Romanzi come Una sfida nel Kurdistan, o non se ne fanno più, o gli editori non li vogliono più. Perché la vena si è inaridita?
“La vena si è inaridita perché si è riversata su altro, giallo, fantascienza, romanzo storico, ecc. E poi la fonte si è prosciugata, drenata dallo psicologismo, dall’introspezione, dall’estetismo. Non ci sono più avventurieri politici. In un’epoca sprofondata, si può solo scrivere dello sprofondamento. Ma forse c’è ancora un orafo che lavora nel suo angolo (…)