Incontri, telefonate, bozze di accordo, progetti. La diplomazia torna a muoversi per trovare una soluzione alla crisi ucraina, in accordo alle attese del presidente russo Vladimir Putin. Alla Casa Bianca ci sono quelli con il ghigno duro che vogliono armare l’esercito di Kiev e cercano di convincere Barack Obama che mostra una strana cautela. Gli europei aspettano prima di definire la strategia, ma in queste ore decisive decisive per disinnescare la bomba ucraina, il peso maggiore delle responsabilità ricade sulla Germania e su Angela Merkel che in queste ore è davvero sotto pressione. A Berlino li chiamano “Putin Versteher”, sono quelli che comprendono Putin. Tra i ventotto paesi dell’Unione Europea, nessuno come i tedeschi comprende meglio le ragioni della Russia: ci sono antiche connessioni storiche e questioni assai più materiali che giustificano la pazienza della cancelliera Merkel.

La Germania è il primo partner commerciale di Mosca, quello che ha più da rimetterci da un collasso economico russo e inoltre, è il terminale di quell’intesa eurasiatica che la scelta irresponsabile delle sanzioni ha deteriorato. Dopo un paio di mesi d’immobilismo, Merkel si è lanciata in nuovi colloqui per rispondere alla tentazione americana di gestire tutto da soli. Da questo punto di vista, la ripresa tedesca segue la mossa estemporanea del presidente francese Hollande che il 6 dicembre 2014, atterrava a Mosca dopo essere stato in Kazakistan, nel tentativo di ritagliarsi un ruolo da mediatore e salvare i rapporti economici franco-russi.
L’incontro al Cremlino tra Putin, Merkel e Holland lo scorso 7 febbraio, conferma in qualche modo una rinnovata volontà di riprende il controllo degli affari politici nel vecchio continente. Invece non deve stupire l’assenza di Federica Mogherini, il rappresentante della politica estera dell’UE, segno di come certi incarichi di cui tanto si vantano a Roma, non contino nulla. L’Italia che tra l’altro si mostra insofferente, è un importante partner commerciale della Russia ma non viene minimamente coinvolta nell’attività diplomatica di questi giorni. Ulteriore dimostrazione dell’incapacità e dell’inerzia del nostro vertice politico capace solo di allinearsi alle decisioni di Washington. Il ministro degli Esteri Gentiloni, ha ripetuto ancora una volta che l’idea di armare Kiev contro Mosca è un azzardo pericoloso e che «non c’è alternativa al negoziato». Salvo poi confermare che se gli americani dovessero decidere lo stesso di inviare armi, «l’Italia seguirebbe perché gli Stati Uniti sono il nostro primo alleato». Il tipico comportamento da lacchè.

Putin intanto nei giorni scorsi è volato al Cairo ospite del presidente egiziano Al Sisi e accolto come un eroe. I due hanno discusso di un accordo per la fornitura di armi all’Egitto, dopo aver già firmato a settembre un accordo da 3,5 miliardi e mezzo e un intesa per utilizzare monete locali e non più il dollaro negli scambi commerciali bilaterali, facendo innervosire gli americani. Il messaggio è chiaro, Putin trova nuovi alleati di cui potersi fidare.

Poroshenko durante la conferenza sulla sicurezza a Monaco di Baviera si è esibito in un misero spettacolo mostrando alcuni passaporti russi catturati al fronte che dimostrerebbero la presenza di truppe straniere. Forse Poroshenko poteva risparmiarsi i toni da melodramma visto che in Ucraina combattono da una parte e dell’altra decine di volontari stranieri, mercenari e avventurieri, gente che sta lì per motivi diversi. Poroshenko guida uno stato fallito, governato in passato da un’oligarchia corrotta e ora affidato a una banda di malfattori che guidano un esercito sfiancato e mandato allo sbaraglio.
Invece di esibire i documenti dei combattenti russi, dovrebbe mostrare i passaporti dei suoi amici come Hunter Biden, il figlio del vicepresidente degli Stati Uniti consigliere d’amministrazione della Burisma la più importante compagnia ucraina di estrazione del gas, controllata dalla società cipriota Brociti Investiment ltd, di cui era dominus un altro amico di Poroshenko, il presidente della Banca Privat, Kolomoyski, passaporto israeliano (e ucraino) che ufficialmente l’ha ceduta una società off shore di cui si perdono le tracce dei proprietari (forse è ancora lui).

La rivista Forbes (1) ci informa che questo gran signore nel 2006 ha assoldato delle bande di delinquenti per acquisire una serie d’impianti siderurgici a Kremenchuk, grazie anche a delle ordinanze di tribunale emesse da giudici corrotti. I giacimenti più interessanti si trovano proprio nelle zone contese e questo mette in pericolo la posizione dominante della russa Gazprom. È quasi scontato ricordare che sul campo di battaglia si incrociano interessi contrapposti e che quella in ucraina è prima di tutto una guerra economica per il controllo delle risorse. Torti e ragioni sono equamente suddivisi, ma non si deve dimenticare che ancora una volta gli Stati Uniti proseguono nelle loro attività di provocazione al fine di creare tensioni per mettere in crisi l’effimera unità europea e sabotare la politica di quei Paesi che intendono stringere rapporti più stretti con i russi.

NOTE

1. inchiesta di Forbes del 2013