L’Unione Europea e gli Stati Uniti stanno conducendo negoziati per concludere un accordo di libero scambio. La Transatlantic Trade and Investiment Partnership (Tttip) ha come obiettivo rimuovere le residue barriere commerciali in una vasta gamma di settori per facilitare l’acquisto e la vendita di beni e servizi tra l’Europa e gli Stati Uniti. Questa è almeno la narrazione rassicurante offerta dalla maggioranza dei media.

Sul tavolo delle trattative ci sono questioni delicate: il cosiddetto market access (dazi doganali, regole per l’accesso agli appalti pubblici, misure contro le importazioni) e l’omogeneità delle regolamentazioni, soprattutto le “barriere non tariffarie” che poi sono la parte più consistente delle trattative. Per “barriere non tariffarie” s’intende tutte quelle norme e quei regolamenti difformi tra le due sponde dell’Atlantico: restrizioni sanitarie sui prodotti agroalimentari, particolari requisiti per la fornitura di merci e servizi, norme tecniche sui prodotti e le limitazioni della “sicurezza nazionale” (militare, energia).

Nel descrivere il Ttip si esagera furbescamente sui vantaggi e si minimizzano i rischi, nel contempo si sparano cifre a casaccio sui benefici economici. Il partenariato transatlantico si sta negoziando per lo più in segreto e le informazioni pubbliche sono poche e non aiutano a comprendere le finalità effettive dell’eventuale accordo. Lo scopo primario del TTIP non è di stimolare gli scambi attraverso l’eliminazione delle tariffe tra UE e USA peraltro già molto basse, ma è quello di consentire alle imprese multinazionali e al capitale finanziario di operare senza troppi fastidi, attraverso l’ennesima deregolamentazione, in settori delicati per la vita delle persone.



ORIGINE. L’idea di un accordo globale che comprendesse una sostanziale omologazione delle legislazioni è il risultato di una pressione lobbistica iniziata a metà degli anni Novanta. In principio fu il TransAtlantic Business Dialogue, un gruppo composto dagli amministratori delegati delle maggiori imprese europee e nordamericane, fortemente impegnate nella cancellazione di quelle regole considerate ostative per gli affari. Nel 2007 da questa lobby si forma il TransAtlantic Economic Council, altro strumento di pressione a favore di una zona di libero scambio basata sulla deregolamentazione dei mercati europeo e statunitense. Nel novembre 2011, funzionari europei e americani annunciarono la creazione di un gruppo di lavoro per “valutare le possibilità di un rafforzamento degli scambio USA-UE e le relazioni di investimento”. Poco tempo dopo la Commissione Europea ha organizzato 119 incontri a porte chiuse con singole compagnie e lobby aziendali per migliorare la loro posizione negoziale. Il primo ciclo di negoziati è cominciato nel luglio 2013 e l’auspicio, soprattutto da parte di Washington, è quello di terminare entro la fine dell’anno prima dell’elezioni di medio termine.

TROPPA RISERVATEZZA. Il TTIP deve essere interpretato non come una trattativa tra due partner commerciali concorrenti tra loro, ma come un attacco ai sistemi sociali (europeo e statunitense), provocato da società multinazionali desiderose di abbattere ogni ostacolo alle loro attività. In un documento riservato, sfuggito ai controlli e reso pubblico nel dicembre 2013, la Commissione Europea confermava che tra le norme a rischio ci sarebbe anche la legislazione primaria dell’UE (regolamenti e direttive). La cosa più preoccupante è che il TTIP sta cercando di conferire agli investitori stranieri un nuovo diritto di citare in giudizio i governi sovrani, dinanzi a tribunali arbitrali creati ad hoc per rifarsi di eventuali perdite di profitto causate da una decisione politica. Nel settembre 2013 la Commissione ha asserito che il TTIP non costituisce una minaccia per le norme sulla salute, la sicurezza sociale, l’ambiente o le garanzie finanziarie. In una lettera alla controparte americana del luglio 2013, il negoziatore capo europeo Ignacio Garcia Bercero ha confermato che la Commissione bloccherà l’accesso al pubblico a tutta la documentazione riguardante le trattative e lo sviluppo del TTIP per almeno trent’anni. Addirittura la Commissione ha chiesto ai parlamentari di sostenere la riservatezza delle trattative. Mentre tutto il lavoro di preparazione è caratterizzato da una riservatezza eccessiva, al limite dell’ossessionem la Commissione tiene sotto stretta sorveglianza i documenti più importanti e fornisce al pubblico solo notizie tranquillizzanti e poco dettagliate. Secondo i protocolli, sarà negato l’accesso a tali documenti anche a funzionari governativi degli Stati membri dell’Unione. Ancora più grave è che fino adesso ai deputati europei non è stato consentito visionare le richieste della controparte americana. Con una mossa che ricorda lo spionaggio di guerra, la Commissione ha apposto su alcuni documenti i contrassegni di segretezza per poter risalire all’origine di un’eventuale fuga di notizie. A riprova di quanto sia restrittivo il modo di gestire l’accesso alle informazioni, la Commissione europea ha riunito nel novembre 2013 i rappresentanti degli Stati membri dell’UE, con lo scopo di impartire istruzioni sul controllo e la coordinazione di tutte le comunicazioni future sul TTIP. Un documento interno della Commissione richiamava gli stati a collaborare e, al contempo, a contrastare il timore sempre più diffuso tra l’opinione pubblica, che il TTIP possa indebolire gli attuali standard di protezione in settori come la salute, la sicurezza e l’ambiente. A rendere noto il documento è stata la rivista danese Notat il 19 dicembre 2013.

IMPATTO MACROECONOMICO. Uno studio del Centre for Economic Policy Research sugli effetti del TTIP, voluto proprio dalla Commissione, nell’ipotesi più ottimistica ha previsto un aumento del PIL europeo del 0,5% entro il 2027. Ovvero briciole. Altri studi ufficiali si parlano di un incremento dallo 0.3 all’1.3% nel corso di un periodo di transizione di almeno dieci anni, mentre tutti rassicurano sulla stabilità dei livelli di occupazione. Un’analisi accurata dell’istituto austriaco Ofse (Österreichische Forschungsstiftung für Internationale Entwicklung) ha definito le stime irrealistiche, prevedendo un aumento della disoccupazione durante il periodo di transizione a causa della riorganizzazione d’interi settori produttivi.

EFFETTI COLLATERALI. L’eliminazione delle normative europee sulla sicurezza alimentare – comprese le restrizioni sugli organismi geneticamente modificati (OGM), sui pesticidi e sulla carne bovina trattata con ormoni – è uno degli obiettivi più importanti dei gruppi aziendali che fanno pressione per il TTIP. Al centro della disputa c’è il ricorso al “principio di precauzione” che stabilisce il livello minimo accettabile rispetto alla sicurezza alimentare. Secondo questo principio è possibile ritirare un prodotto dal mercato se sussiste il rischio che possa rappresentare un pericolo per la salute delle persone, anche se i dati scientifici sul rischio non siano sufficienti. A dimostrare che una sostanza non sia tossica deve essere l’industria e non l’autorità statale, in Europa la normativa REACH sulle sostanze chimiche ha rafforzato la protezione che è maggiore rispetto a quella americana.

ISDS. Il più grande pericolo rappresentato dal TTIP è la possibilità di garantire alle multinazionali il potere di citare in giudizio direttamente gli Stati, per un eventuale danno causato da una decisione politica. La clausola ISDS (Investor-State Dispute Settlement) è presente in un grande numero di trattati di libero scambio. Istituisce appositi tribunali internazionali per la risoluzione delle controversie tra uno Stato e un’impresa straniera. Questo diritto di aggirare un tribunale nazionale ha senso soprattutto nel rapporto con paesi che hanno un sistema giudiziario inefficace e inefficiente, come forma di protezione degli investimenti. La scelta di apporre la clausola ISDS contro nazioni affidabili dal punto di vista giudiziario, appare come un abuso, uno strumento di pressione politica contro le scelte dei governi. Attualmente la Commissione presieduta da Juncker sembra orientata a togliere l’ISDS dal testo dell’accordo anche non sono stati presi impegni precisi in tal senso.

(prima parte)