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Il futurismo “conquista” Roma nel 1913, riuscendo a fare breccia nell’ambiente della capitale con le serate al Teatro Costanzi, l’attuale teatro dell’Opera; ma il terreno è stato preparato negli anni precedenti, grazie alla presenza di un gruppo di artisti attrattati dall’orbita di Marinetti, il quale aveva contatti con l’ambiente da molto tempo.
Marinetti prima delle serate al Costanzi, non ha ancora organizzato manifestazioni eclatanti, però ha dedicato alla capitale la potente invettiva: Contro Roma passatista, in cui la città, con Venezia e Firenze veniva presa e definita una delle “tre piaghe purulente della nostra penisola”. Accusa infamante, nata dalla considerazione che, in assenza di una moderna struttura economica, la città vivesse da parassita sulla cosiddetta industria dei forestieri, il turismo. Del resto, la Roma clericale, sede del Vaticano, da cui si sprigiona il potere spirituale della Chiesa e la Roma di Montecitorio, crocevia di traffici e intrighi politici, fanno da sfondo al poema romanzo in versi liberi L’aeroplano del Papa (1912), dove Marinetti, spinto da irrefrenabile fantasia e altrettanta sfrontatezza, immagina addirittura di compiere un volo rocambolesco per rapire il Papa.
La “battaglia di Roma”
La mattina di del 21 febbraio 1913, i lettori del quotidiano romano Il Messaggero, leggono un annuncio di una manifestazione culturale e mondana che si terrà quel giorno, alle cinque del pomeriggio, prima matinée interamente dedicata al futurismo al Teatro Costanzi.
Marinetti illustrerà l’esposizione di quadri di Balla, Boccioni, Carrà, Severini, Russolo e Soffici, inaugurata nel foyer; leggerà i versi di alcuni poeti futuristi e infine l’orchestra del teatro eseguirà, sotto la direzione dell’autore, un pezzo sinfonico del maestro futurista Francesco Balilla Pratella. Il capo del movimento è riuscito a ottenere la disponibilità dei locali di via Nazionale grazie all’amica Emma Carelli, ex cantante e ora direttrice artistica del teatro, dove il marito Walter Mocchi, amico di Marinetti, è diventato agente teatrale e ha organizzato lo spettacolo.
Invece, dell’esposizione, si è occupato Peppino Giosi, ex coloraio di via del Babuino, che nei primi anni del secolo faceva credito a Severini e Boccioni, fornendo gratuitamente tele e colori. Durante il “five-o’-clock tea” Marinetti, “parlatore simpatico quando non posa a nazionalista mangiapopoli”, viene ascoltato da una sala gremita, dicono le cronache, di “gente molto per bene” e dunque il dissenso resta limitato a qualche grida di protesta. Molto diverse sono le reazioni del pubblico all’ingresso di Papini – nuova recluta del Futurismo assieme a Soffici – che, nel presentarsi col volto quasi nascosto da una folta capigliatura, legge il suo Discorso contro Roma con molto impaccio. Le sue parole in mezzo a quella compagnia di facinorosi – nota Fausto Maria Martini su “La Tribuna” – sono una stonatura, anche perché l’occhialuto scrittore fiorentino ha una “voce di gattina bastonata”, vorrebbe esprimere parole audaci, oscenità, ma le dice timidamente, e se ne sta lì in equilibrio instabile sulle lunghe gambe. Insomma, rappresenta “un numero che un impresario di troupe avrebbe dovuto protestare”.
La défaillance papiniana viene confermata da Marinetti in una lettera subito inviata al futurista Cangiullo: “quanto a Papini, non ha ni le physique, ni le voix du role”. Miope, con una voce acido-flebile-monotona, egli lesse male, molte male il suo discorso”. Lo stesso Papini, quasi a scusarsi, dirà poi che s’è trattato d’un “discorsaccio sgangherato e improvvisato” (…) in fretta e furia in poche ore, proprio all’ultimo momento, un po’ a casa mia, un altro po’ in un caffè di Firenze, un’altra parte in casa di Palazzeschi e la fine in un caffè di Roma”.
Soffici confesserà di aver provato di fronte al pubblico urlante l’irrefrenabile desiderio di diventare Gargantua, avanzarsi alla ribalta e “allagar tutta quella carne in delirio con una lunga, lunga pisciata”. Dopo il teatro, i futuristi, ebbri per quella prima serata romana, se ne vanno in giro di notte, raggiungono il Vittoriano, ridono e schiamazzano su quel monumento imponente.
Il 9 marzo alle ore 21, i futuristi calcano nuovamente la scena del Costanzi di fronte a un pubblico numeroso. C’è grande ressa ed eccitazione, le cronache parlano di quattromila persone. In programma: l’esecuzione della sinfonia di Petrella, Inno alla vita, letture di poesie di Buzzi, Aldo Palazzeschi, Folgore “parole in libertà” di Marinetti, una conferenza sulla pittura di Boccioni e, per finire, un “consiglio ai romani” del capo del futurismo. Solo che lo spettacolo degenera in un lancio di frutta e ortaggi, tanto da costringere i musicisti ad abbandonare la fossa d’orchestra; una grossa mela centra un violino in pieno e lo sfonda. Marinetti non si abbatte e continua a recitare, coperto da urla e invettive. Allora provoca: “Ora vi accontento; ascoltate La vispa Teresa, poesia adatta al pubblico romano”. A quelle parole in platea e sui palchi si scatena la tempesta, mentre il poeta grida. “È canaglia prezzolata dalla bestialità dorata quella che è venuta a far baccano!”. Parte un lancio d’oggetti anche dalla barcaccia del circolo degli scacchi, vicina al palcoscenico, dove si intravedono il principe Boncompagni, il principe Altieri e il marchese Cappelli.
“Buffone!”, gridano gli aristocratici. “Figli dei preti!”, replica Marinetti.
A quel punto il poeta abbandona la scena, ma si imbatte nell’Altieri, a cui rivolge parole di fuoco; segue una scarica di pugni e l’intervento delle forze dell’ordine. Sembrerebbe finita lì e invece Boccioni, messosi sulle tracce dello stesso principe, all’angolo di via Torino con via Nazionale, lo colpisce con una bastonata. Altra rissa, sedata dall’intervento di una guardia che trascina Boccioni in commissariato. Marinetti intanto ha raggiunto il caffè Aragno, nella confusione dei disordini ha perso il cappello e una scarpa. A mezzanotte, tra il fumo delle sigarette nella terza saletta cala il sipario sulla “battaglia di Roma”.