In Inghilterra, il paese che per primo e con più veemenza ha venduto l’anima del calcio al diavolo del denaro, rendendolo uno dei tanti spettacoli da piazzare, Mourinho ha capito che il football è diventato merce. L’allenatore, come l’artista deve opporre al mondo delle merci una merce speciale, simbolica appunto, se stesso.

Josè Mourinho quando cita Hegel, oppone al regno dell’uniformità e della mediocrità del lessico, la sua ironia caustica per mantenersi distaccato e non troppo coinvolto rispetto al mondo del calcio. Mourinho cerca la sorpresa, la frase ad effetto, l’atteggiamento imprevedibile. Non cerca il consenso, il riconoscimento dello status di “diverso”, non vuole essere coinvolto più del necessario nei riti noiosi del post partita. Ma proprio quando deve farlo, cura con attenzione ogni aspetto della comunicazione.

Mourinho è il simbolo dell’impertinenza e dell’imprevedibilità, ma non vuole sembrare eccentrico e trasgressivo a tutti i costi, si limita a fare quello che fanno tutti, solo in modo inimitabile.
Si scopre dandy nella sua posa sprezzante, nel suo contegno poco convenzionale, nelle sue risposte caustiche e fuori dagli schemi, spesso capaci di smascherare il bigottismo imperante nell’universo del pallone, pieno di piattezze verbali e cafonerie assortite. Il circo mediatico pallonaro anche quando lo critica, ne ha bisogno.

Mourinho è un artista che gravita intorno a sé lo spirito del tempo in tutte le sue sfaccettature. È un individuo che sorprende pur mantenendo l’impassibilità e la calma. È tesi, antitesi e sintesi.