Parlare di Jorge Luis Borges significa evocare un profondo conoscitore e utilizzatore di simboli. In un’epoca in cui i grandi archetipi umani, veicolati dalla mitologia, rischiano di essere oscurati o ridotti a caricature da certi discorsi mistificanti, abbiamo bisogno di rimettere le idee in ordine con la sguardo rivolto verso Buenos Aires, grandiosa e vertiginosa come molti scritti del suo illustre cittadino.
L’Aleph e Finzioni, sono le raccolte più conosciute di Borges, in essa ricorrono spesso due costruzioni simboliche, entrambe imitazioni umane della Struttura per eccellenza – il Mondo, l’Universo – e due archetipi estremamente significativi: il Labirinto e la Biblioteca.
I personaggi de Il giardino dei sentieri che si biforcano, nel tentativo di comprendere che tipo di labirinto sia stato progettato dal cinese Ts’ui Pen, scoprono che esso non è un edificio, ma un enorme romanzo, intitolato come il racconto che ne parla e formato da un’immensa quantità di “manoscritti caotici” con una “trama di tempi che si accostano, si biforcano, si tagliano o si ignorano per secoli, che comprende tutte le possibilità”.
Il labirinto di Ts’ui Pen coincide con le innumerevoli possibilità dello svolgimento di un testo e una trama. Nello scritto La Biblioteca di Babele, invece, il labirinto coincide con un’immensa e incalcolabile moltiplicazione di libri, è l’intero universo dei testi edificabili con i caratteri alfabetici occidentali, così da fondere Biblioteca e Labirinto che simboleggiano l’universo e le numerose interpretazioni da parte della mente umana. La legge fondamentale di questo smisurato microcosmo è che “tutti i libri, per diversi che fossero, constatavano di elementi uguali: lo spazio, il punto, la virgola, le ventidue lettere dell’alfabeto. Inoltre (…) non vi sono, nella vasta Biblioteca, due soli libri identitici”.
Borges appare come una figura archetipica: il Poeta cieco, simile all’Indovino e al Profeta, che non può vedere la realtà con gli occhi del corpo ma è dotato di una vista metafisica, altra e differente. Un richiamo alla figura mitologica di Tiresia, cieco ma capace di prevedere il destino di Ulisse. Lo scrittore e bibliotecario argentino era un incrocio da un punto di vista letterario, a metà strada tra il poeta e il filologo, l’erudito e l’esoterista.
Il Labirinto resta una struttura che presuppone un ordine (kosmos) e una precisa, anche se sconosciuta, serie di direzioni da seguire, nonché l’adesione mentale all’oggettività (geometrica, in questo caso) da parte di chi lo progetta.
Noi moderni, invece, siamo troppo spesso presi dalle emozioni superficiali e dal desiderio di liberarci di qualsiasi struttura capace di ricordare che la libertà è qualcosa di limitato, rigettiamo ogni corridoio ideologico per evitare il Labirinto ed eventuali mostri, ma abbandonando tutto, restiamo dispersi e smarriti in un nuovo labirinto “dove – ricorda Borges – “non ci sono scale da salire, né porte da forzare, né faticosi corridoi da percorrere, né muri che ti vietano il passo”. (I due re e i due labirinti).