Il potere è spesso qualcosa di evocato, nominato come un’entità astratta che vive “altrove” oppure all’opposto, qualcosa di identificabile con il volto e il corpo dei potenti. Sono due interpretazioni contrapposte di una sola realtà: potere visibile e potere remoto sono due luoghi con confini non sempre definitivi.
La condizione di degrado politico ed economico dell’Italia, fa interrogare sulla responsabilità del potere, visto che da oltre un decennio assistiamo all’incapacità di organizzarlo stabilmente. La retorica linguistica europea utilizza l’espressione “sovranità condivisa”, significa che non siamo totalmente padroni in casa nostra (semmai lo fossimo stati) e il governo deve sempre confrontarsi con poteri extranazionali: quello dei palazzi di Bruxelles o quelli assai più potenti dei centri finanziari, i famigerati “mercati”.
Tralasciando per adesso, la dialettica problematica tra poteri nazionali e internazionali, resta l’interrogativo su chi oggi realmente comanda il Belpaese.
Individuare tutto il potere nel parlamento, nei politici con tutto l’armamentario retorico della casta da colpire e abbattere, significa allinearsi all’idea dell’italiano medio che considera ancora il singolo parlamentare come un “potente”. Invece, è nota la ridotta influenza dei parlamentari nel processo legislativo, segnata dal ricorso continuo alla decretazione d’urgenza. Più della metà delle leggi viene fatta con decreto, laddove per dettato costituzionale dovrebbe essere uno strumento eccezionale. Il motivo di questa logica va individuato nella precarietà delle alleanza politiche che sorreggono il governo costretto quasi sempre a puntare la pistola sui deputati che lo sorreggono. A questo si associa il terrore del voto che per molti parlamentari significherebbe restare fuori dai giochi. Se il parlamento conta poco, i partiti hanno ancora potere? Si, soprattutto nelle realtà locali, il famoso “territorio” di cui tutti blaterano. Le nomine nelle Asl, nei consorzi, nelle fondazioni bancarie e nella pletora innumerevole di società controllate, sono ancora decise dai dirigenti di quelle entità sempre più fumose che sono i partiti.L’ultimo decennio è anche la storia dell’estensione delle responsabilità regionali e di conseguenza della spesa, secondo un meccanismo autogestito che ha arricchito e garantito la sopravvivenza a ceti politici e professionali, non sempre capaci ed efficienti.
In Italia, la Banca centrale europea di Draghi svolge lo stesso ruolo che ha nel pensiero aristotelico il motore immobile, causa ultima del divenire dell’universo. La Bce piaccia o meno, è quella che controlla l’erogazione di denaro che contribuisce al potere dello Stato. Attraverso la Bce, un’Italia politicamente indebolita e quindi facile a subire influenze esterne, si confronta con le grandi capitali, Washington e Berlino su tutte.
Nell’epoca maledetta del dominio dei mercati finanziari, se sei amministratore di un Hedge Fund, le parole che determinano le tue decisioni sull’Italia vengono da Draghi e non da Matteo Renzi. In questo strano spazio entrano anche il Quirinale e la Banca d’Italia, ma c’è un ceto potente di cui poco si parla ed è quello dei grandi burocrati dei ministeri.
La prevalenza dell’élite dei ministeri si incrocia con il nuovo potere dei magistrati. Non si tratta di offrire una narrazione complottistica, ma di rilevare come in un paese dove la politica non ha più spina dorsale per manifesta incapacità culturale, emergano poteri più solidi e uniti.
Quella che una volta era la repubblica dei partiti si sta trasformando nelle repubblica dei pretoriani degli uffici ministeriali.
L’attenzione non va concentrata sulle figure che occupano lo spazio mediatico, ma sulla macchina statale dove consiglieri, avvocati e giuristi di varia natura fanno il bello e il cattivo tempo.
Tanto per essere chiari gente come Daniele Franco, capo della RGS (Ragioneria generale dello stato) ha un potere enorme, che il Presidente del Consiglio si sogna.
Dagli uffici del Ministero dell’Economia e delle Finanze si irradia un potere tecnico spaventoso, celato dietro la dizione burocratica di “certificazione”. Da qui si può rinviare nel tempo o sabotare ogni iniziativa politica.
Molti si affannano a descrivere i retroscena del gruppo Bilderberg o del Forum di Davos, ma si dimenticano del ragioniere Franco e dei suoi collaboratori che non vanno da nessuna parte ma governano l’epoca del contenimento della spesa. Decreti ministeriali, regolamenti, decreti applicativi e provvedimenti vari, sono parte di un processo di complicazione normativa che assegna un potere smisurato alle burocrazie dello Stato. Una politica del rinvio che porta ambiti rilevanti dalle strutture politiche alle amministrazioni centrali statali. L’Italia in declino è in parte demolita anche da questo ceto burocratico, come il gigante Titios che, secondo il mito, giace nell’Acheronte divorato dai rapaci. Il poeta romano Lucrezio commentava con macabro sarcasmo che difficilmente potrebbero trovare molto da frugare nel suo corpo per il resto dell’eternità. Prima o poi del cadavere non resterà nulla.