Nel corso dell’incontro con il primo ministro israeliano Netanyahu, il presidente Donald Trump, ha ribadito la volontà di prendere il controllo del territorio di Gaza, rimuovere le macerie e organizzare il trasferimento della popolazione palestinese in altri territori. La striscia di Gaza, nelle intenzioni del presidente americano, andrebbe ricostruita trasformata in una specie di area urbanistica rinnovata, una zona speciale nel segno della prosperità.

Ovviamente questa idea dal sapore umanitario, è senza giri di parole un piano di esilio forzato di un’intera popolazione verso non si sa dove, dato che come era ovvio, i paesi arabi non hanno mostrato disponibilità. Un progetto del genere poteva trovare il consenso solo negli ambienti messianici e fanatici della politica e della società israeliana.

Negli Stati Uniti, diverse organizzazioni ebraiche e politici hanno criticato duramente la proposta per Gaza, definendola irresponsabile e scollegata dalla realtà. Altre voci dissidenti da tutto il mondo si sono espresse in negativo. Un’indignazione ancora debole rispetto alla determinazione di chi invece continua a soffiare sul fuoco del Medio Oriente. Provare disgusto è il minimo, ma non basta per un’azione politica di dissuasione davvero efficace.

Dietro la proposta americana c’è la necessità per gli Stati Uniti di blindare il controllo delle aree strategiche, e Gaza, affacciata sul Mediterraneo, evita a una forza nemica di minacciare il Canale di Suez e Israele. Inoltre è ripresa da parte di Washington la pressione verso l’Arabia Saudita per normalizzare i rapporti diplomatici con lo Stato Israele e mantenere un atteggiamento ostile nei confronti dell’Iran, l’altro importante competitore mediorientale.

Si sta giocando una partita politica per ridefinire gli equilibri di potere nell’area, marginalizzando la questione palestinese e allo stesso tempo si rafforza la posizione del governo israeliano deciso a fare il bello e il cattivo tempo, continuando a violare ogni regola internazionale, con l’accondiscendenza e la complicità delle nazioni che avrebbero tutto il potere per bloccare la politica arrogante del governo di Tel Aviv. Prepotenze, distruzione di villaggi, deportazioni di popolazione, occupazione e smantellamento sistematico dei territori assegnati ai palestinesi, vanno avanti dal 1948 con una determinazione spietata.

L’attacco militare di Hamas del 7 ottobre 2023 ha offerto la scusa perfetta al governo israeliano e ai nazionalisti, per liquidare la questione palestinese, già compromessa e tradita da anni di occupazione illegale e tribalismi interni alla società araba.

A che punto è la notte?

La situazione è più tranquilla ma allo stesso tempo drammatica anche nella Cisgiordania, con un territorio spezzettato da colonie ebraiche illegali e zone di presidio militare. Lo stato palestinese semmai si dovesse formare a queste condizioni, si troverebbe sopra un territorio sfrangiato, dove sarà complicato esercitare un minimo di sovranità.

E l’Europa? Assente, indolente e arrendevole, erosa dai suoi stupidi sensi di colpa, impegnata più a sprecare carta in appelli e dichiarazioni piene di sdegno che non sortiscono alcun effetto. Più grave è l’atteggiamento remissivo dell’Italia che dovrebbe recitare un ruolo più incisivo nel Mediterraneo, invece di limitarsi ad accodarsi alle scelte del più forte e in questo caso più prepotente. I palestinesi esistono e soffrono come popolo e sono diventati la pedina da sacrificare in questo gioco politico e diplomatico coperto di sangue.