Lo scrittore tedesco George Simmel, nel 1903 pubblicava La metropoli e la vita dello spirito, sorprendentemente attuale nel descrivere la vita degli uomini nei grandi agglomerati urbani. Quando noi “pensiamo” la metropoli, secondo le forme architettoniche, letterarie e cinematografiche che l’hanno descritta per tutto il Novecento, pensiamo in realtà attraverso Simmel.
Honoré de Balzac è stato il primo a descrivere i soggetti che popolavano le grandi città, ma non ha avuto il tempo di osservare la trasformazione provocata dall’avanzamentotecnologico. Cinquant’anni dopo, Simmel comprende innanzitutto che la metropoli provoca un’intensificazione della vita nervosa che contraddistingue il carattere dell’uomo metropolitano: distaccato e a tratti indifferente, indicato con il termine francese blasé. «La base psicologica su cui si erge il tipo delle individualità metropolitane è l’intensificazione della vita nervosa, prodotta dal rapido e ininterrotto avvicendarsi di impressioni interiori ed esteriori».

L’uomo blasé è una conseguenza della vita alienata della grande città, dove il susseguirsi frenetico di stimoli e immagini colpiscono il suo sistema nervoso, causando una diminuzione della capacità di reazione. Simmel non da una connotazione negativa, non è un nostalgico della vita rurale, si limita a descrivere quel definisce spirito metropolitano.
La metropoli accentua gli stimoli modificando la percezione sensioriale nell’individuo con l’aumento di due fattori: velocità e quantità. Il passaggio dal piccolo al grande centro mina il precedente equilibrio mentale e per adattarsi ai nuovi stimoli, l’individuo potenzia un organo che Simmel chiama intelletto, inteso come una zona psichica molle e dinamica. L’intelletto cattura e neutralizza gli impulsi, si adegua meglio alla vita metropolitana, in contrapposizione alla sentimentalità, una modalità di percezione alle sollecitazioni esterne incapace di adattarsi ai cambiamenti. Il contrasto intelletto/sentimentalità suggerisce un’altra dicotomia tra intenzione morale e intenzione allegorica.

La differenza tra metropoli e piccola città consiste nella velocità di adattamento alle abitudini: nel contesto urbano ridotto esse si conservano e si ripetono, mentre nella grande città,  si creano e si sfaldano rapidamente. A questo rapido susseguirsi corrisponde una trasformazione di ordine psichico: alla precedente intenzione morale – fondata sulla conservazione e ripetizione delle abitudini – il tipo metropolitano sostituisce una nuova intenzione allegorica – fondata sulla rapida e incessante costruzione e distruzione di abitudini. Come già detto, il risultato dello spirito metropolitano è il tipo blasé: «L’essenza dell’essere blasé consiste nell’attutimento della sensibilità rispetto alla differenza fra le cose, non nel senso che queste non siano percepite – come sarebbe il caso per un idiota – ma nel senso che il significato e il valore delle differenze, e con ciò il significato e il valore delle cose stesse, sono avvertiti come irrilevanti. (…)
Il blasé è il tipico soggetto metropolitano, perché in esso si condensa e si riflette la molteplicità degli stimoli che si attivano. Nell’individuo, l’euforia dovuta alla moltiplicazione delle sollecitazioni esterne si rovescia nel suo opposto: nella sensazione che tutto sia stato vissuto, effimero, vano e illusorio. In questa condizione l’individuo vive le proprie esperienze quotidiane non tanto attraverso il filtro del dovere e della morale, ma attraverso il desiderio.

Nella vita della metropoli è sempre attivo questo particolare stato psichico “desiderante”, pieno di cose concrete e di illusioni. Il rapporto tra abitanti nella metropoli  è più riservato e meno intenso. Simmel spiega come il continuo contatto con le persone non può corrispondere a un avvicinamento interiore della stessa intensità dei piccoli centri, dove più o meno ci si conosce tutti. Nella metropoli un contatto così stretto rischia di portarci a una condizione psichica precaria e persino quella sottile “antipatia” che sembra caratterizzare l’individuo metropolitano rappresenta una forma di difesa necessaria per l’equilibrio vitale.
«Tutta l’organizzazione interna di un sistema di relazioni così estese riposa su una gerarchia altamente differenziata di simpatie, indifferenze, avversioni, a volte fugaci, a volte durature (…) Da questi pericoli tipici della metropoli ci preserva l’antipatia, lo stadio latente e preliminare dell’antagonismo pratico, che produce quelle distanze e quel voltar le spalle senza cui la forma di vita metropolitana non potrebbe affatto esser praticata: le misure e le miscele dell’antipatia, il ritmo del suo apparire e scomparire, le forme in cui viene appagata – tutto ciò forma un’unità inscindibile nella condotta di vita metropolitana con i motivi che, in senso stretto, tendono a uniformare gli individui: così ciò che in questa forma di vita appare immediatamente come dissociazione è in realtà soltanto una delle forme elementari di dissociazione».
Questa “distanza” è utile alla sopravvivenza individuale e alla convivenza sociale. Essa permette di catturare e dimenticare al tempo stesso gli sguardi incrociati, di accettare i comportamenti degli altri senza reazioni emotive eccessive. Più difficile nella città piccola, dove non si passa “inosservati”, mentre nella metropoli si è “osservati” e subito dimenticati. La maggiore brevità e rarità degli incontri metropolitani, impone una maggiore attenzione al modo di presentarsi e modifica le modalità di formazione della fiducia, dovendosi quest’ultima dilatarsi in un tempo molto più ampio rispetto alla città piccola, dove la frequenza e la durata degli incontri offre un ritratto più nitido della personalità dell’altro.
Simmel vede nella metropoli una maggiore libertà. In provincia le ridotte dimensioni dei gruppi sociali impongono all’individuo ruoli più definiti e istituzionalizzati, all’interno si è più sorvegliati e di conseguenza si riduce la propria libertà d’azione. Nella metropoli è concesso un genere e un grado di libertà maggiore come spiega Simmel: «Nella misura in cui il gruppo cresce – nel numero, nello spazio, per importanza e contenuti di vita – la sua unità interna immediata si allenta, la nettezza dei suoi confini originari viene mitigata da relazioni e connessioni con altri gruppi; e contemporaneamente l’individuo guadagna una libertà di movimento che va ben oltre i vincoli posti dapprima dalla gelosia del gruppo (…)».