Schermo nero. Due voci parlano fuori campo, sono quelle di Jack (Matt Dillon) e Verge (Bruno Ganz): il primo chiede se durante il viaggio si possa chiacchierare, l’altro risponde che tutti i predecessori che ha accompagnato, sono stati colti dal desiderio di raccontarsi come una specie di confessione. Appare il titolo e il protagonista narra la sua storia che copre un arco di dodici anni, scanditi da cinque episodi significativi, detti “incidenti”. Lars Von Trier, ritorna con la tecnica del dittico dove il protagonista si racconta a un uomo più anziano e navigato.
Verge (Bruno Ganz) non si mostra indulgente, ascolta e sferza ironicamente Jack, sminuisce il suo ego psicotico, non offre giustificazioni alla pretesa di protagonista di attribuire un valore artistico alla sua cattiveria feroce.
Cinque pannelli compaiono nel film, cinque capitoli che dettano la trama del racconto dell’evoluzione criminale di Jack dal raptus omicida fino ai piani preordinati sempre più raffinati, sofisticati e depravati. Non mancano scene di violenza particolarmente disturbanti.
Nel primo incidente Jack è alla guida di un furgone rosso quando incrocia una donna con l’auto bloccata da uno pneumatico bucato e il cric malfunzionante. A interpretare la signora è Uma Thurman che per dieci minuti è al centro della scena con un atteggiamento invadente e petulante. Jack è rilassato, leggermente infastidito ma misura ogni parola, al contrario della donna che si fa accompagnare in officina e nel percorso imbastisce un dialogo sul pericolo di prendere passaggi dagli sconosciuti, con allusioni alle persone malintenzionate e battute sui serial killer. La donna gioca sull’assonanza tra il nome Jack e il jack (il cric in inglese, battuta più evidente nella versione in lingua originale). I due vanni all’officina e poi ritornano verso la macchina. Il regista si diverte con continui stacchi sul cric poggiato tra i sedili, come se fosse una pistola pronta per esplodere. Di nuovo vicino all’auto in panne, Jack ferma il furgone, è un attimo, afferra il cric e con un colpo secco fracassa il cranio della donna. Prima dell’omicidio, lo spettatore ascolta una digressione sull’arte gotica e l’importanza dei materiali fatta Jack mentre scorrono immagini sul tema. L’assassino vuole spiegare il pensiero raffinato che precede ogni sua azione. Il primo omicidio avviene con un materiale perfetto e adatto alla situazione, il cric che altera i connotati della donna creando un simulacro. L’ideale estetico nascosto dietro la nefandezza. Verge, l’accompagnatore vestito di nero che vedremo solo nella parte finale del film, cerca sempre di attenuare le pretese teoriche dell’assassino.
Jack eccelle nell’omicidio seriale e compensa la vergogna di non riuscire a costruire una casa perfetta che smonta e rimonta continuamente nel terreno dove sta edificando, proprio lui, un ingegnere che sognava di fare l’architetto. “Quando avevo dieci anni ho scoperto che attraverso il negativo vedi la qualità demoniaca insita nella luce. La luce oscura”
Nel racconto di Jack si affollano icone, finzioni, frammenti di memorie del passato, le architetture di Albert Speer, il fischio degli Stuka tedeschi paragonati alle trombe di Gerico. La musica di Gleen Gould, David Bowie, Vivaldi e Bach è la colonna sonora del viaggio nella mente diabolica di chi è privo un ordine morale prestabilito. Sarà la catabasi finale a frenare l’invasività del Male quando ormai tutto è franato. Lars von Trier ha realizzato un equilibrio mirabile di orrido e poetico.