“Più che l’imprevisto, è il previsto che coglie di sorpresa l’uomo esperto” – questo aforisma di Nicolas Gomez Davila – descrive bene la sequenza di reazioni provocate dalla vittoria di Donald Trump e dai commenti sconclusionati di un ceto intellettuale progressista che non sa più che spiegazione darsi, dopo avere confuso i propri desideri con la realtà, senza sforzarsi minimamente di comprendere quello che è accaduto, se non limitandosi, con la mentalità del tifoso, a lanciare maledizioni contro il cielo.

La dimensione del successo di Trump e della sua capacità di avere organizzato un contropotere di élites riposizionatesi all’interno del movimento repubblicano, ha definitivamente disintegrato il vecchio sistema nel campo politico, economico e sociale.

L’ambiente politico conservatore si è unito ad alcuni settore del capitalismo più avanzato, questa classe di “ipercapitalisti” che mette in discussione le vecchie rendite di potere, interviene e partecipa attivamente nella gestione politica degli apparati statali.

È una dimensione nuova, un momento di svolta. Staremo a vedere.

Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca non cambierà drasticamente la traiettoria della competizione strategica con la Cina – il perno centrale della politica estera di Washington, l’area dell’indo-pacifico, dove oggi si svolge la competizione più importante.

E lo ripetiamo, l’Europa deve cogliere l’occasione per rendersi più autonoma, definire e difendere il proprio interesse politico e militare e intervenire in maniera più decisa nelle aree di conflitto, non essere più un osservatore un po’ in disparte. Dalla Storia non si sfugge.