La crisi economica è oggetto di litigi infiniti e discussioni complicate dalla difficoltà di trovare un rimedio. Poi ci sono quelli convinti di avere la soluzione a portata di mano con qualche aggiustamento tecnico. Parole come moneta, debito pubblico, inflazione, deflazione, austerità scatenano una tempesta di opinioni, deduzioni e argomentazioni con il rischio di consumarsi nel linguaggio dell’ovvio. Su questo terreno si affollano accademici più o meno competenti, studiosi preparati e una folla di “dilettanti titolati” che non capiscono niente ma lo scrivono bene.

Nel salotto di Madame Pompadour la donna più potente a Parigi nel XVIII secolo, il medico del Re Luigi XV, discuteva della circolazione delle merci paragonandola a quella del sangue. Tra un pettegolezzo politico e le storie sui giganti della Patagonia, l’economia diventava una scienza raffinata ridotta a calcolo meccanico. Ed è proprio qui che sta l’inghippo, perché si continua a discettare sulla scienza economica dimenticandosi della mentalità dell’epoca in cui viviamo. In tal senso, il Faust di Goethe può aiutarci.

L’imprenditore, il consumatore, il lavoratore, ognuno a modo suo, inseguono l’identica magia che seduce Faust e gli fa obliare se stesso in uno Streben che non ha mai fine e nel quale tutto si confonde con prepotenza. Streben è una parola tedesca, significa ambire, agognare, inseguire, induce nel pensiero un desiderio incontenibile.
Il capitalismo è questo Faust sedotto da una manifestazione mercantile di tutto, desideroso solo di estendersi. Streben che non ha mai fine e nel quale tutto si confonde con prepotenza: la seduzione della fretta, di tutto misurare nel gioco all’accumulo, della potenza distruttiva e ricreativa, domina un’economia che nulla riesce a frenare.

Laddove in qualche conferenza siedono accanto un industriale e un economista, si distingue nel primo il pensiero pratico, nell’altro il ragionamento per calcoli e algoritmi al fine di spiegare i fenomeni secondo delle precise tassonomie. L’uno e l’altro si guardano con lieve diffidenza ma hanno torto entrambi: il primo pensa di spiegare le dinamiche del mondo a partire dalla propria esperienza privata, il secondo si illude di avere un metodo scientifico tra curve e algoritmi, dimenticando che gli uomini sono fatti di cervello, sangue e spirito.
L’aiutante di Faust, Wagner, al quale Mefistofele concede solo la magia minore di creare in laboratorio un homunculus finito e saccente come l’homo oeconomicus, rivive in costoro. Goethe scrisse: “Un uomo noto e cresciuto nelle cosiddette scienze esatte non capirà facilmente, dall’alto della sua ragione analitica, che esiste ancora qualcosa di simile a una fantasia sensibile esatta”.

La scienza economica richiede un immediato rapporto vitale con l’Io. Prima di sedurre, Faust deve essere sedotto da Mefistofele, il suo Streben deve adattarsi all’Epoca, confondersi con il suo pensiero non essenziale e rincorrere così un allargamento di valori mercantili fine a se stesso.

La tragedia economica di Faust è questa seduzione metafisica, questa alterazione spirituale che trasforma il pensare economico nella tecnica mercantile riconosciuta. A capire questa mutazione fu, più di tutti, Werner Sombart. Nel 1902, nella breve conclusione del saggio Der moderne Kapitalismus, condensa tutto: “che nei diversi periodi abbia dominato una mentalità economica diversa e che sia lo Spirito a darsi una forma adeguata creando così l’organizzazione economica”. Sombart ha descritto con un secolo d’anticipo il lento insinuarsi di una mentalità, inadatta all’esistenza comunitaria e predisposta solo al calcolo mercantile. Nel capitalismo l’umano patisce la seduzione di Faust e tutto si riduce alla volontà frenetica di dissolvere ogni vincolo, per creare artifici mercantili.

Se è lo Spirito a plasmare le diverse economie, la conoscenza di quelle trascorse come di quelle presenti, non può ridursi a un problema empirico di collocazione delle risorse e schemi rigidi.
Lo Spirito, l’essere degli uomini non si può incastrare in modelli logici e tassonomie numeriche. Questo piace ai nuovi predicatori mondialisti che sognano la cancellazione delle frontiere, fisiche e culturali, il loro è un irrefrenabile desiderio di spogliarci della nostra stessa umanità e storicità per diventare dei semplici consumatori spruzzati di vanità.