Esploratori come Magellano, Caboto, Amundsen erano accomunati dall’irrefrenabile desiderio di scoprire e superare la frontiera tra ciò che era conosciuto e l’ignoto materiale di un territorio inesplorato. Oggi quella frontiera si è spostata nell’etere informatico, in un spazio a prima vista smaterializzato, chiamato da Luciano Floridi, infosfera (1).
Tutta questa mole di dati, non fluttua semplicemente tra le nuvole in una specie di empireo astratto a nostra disposizione come una seconda natura. L’infosfera viene difesa innazitutto, tramite la costruzione di ideologie, tabù e convinzioni generalizzate che non si possono mettere in discussione.
La rete si compone di elementi fisici pesanti, giganteschi cavi sottomarini collegati a server potenti che consumano una enorme quantità di energia soprattutto nucleare, perché con l’eolico e il solare, quando ci riferiamo a Internet, ci accendete il tostapane. Strutture pesanti come i server, per ragioni di sicurezza nessuno sa dove siano e il sistema è comandato da un server centrale, il “master switch”, il pulsante che può spegnere tutto, il quale secondo ipotesi più accreditate, si troverebbe in un sottomarino nucleare al largo di Seattle.
Solo nell’emisfero occidentale sono stati installati 1,4 miliardi di dispositivi per il cosiddetto “internet delle cose”: gran parte di questi sensori sono presenti in tutti gli apparecchi elettronici, nei palazzi e negli spazi pubblici per consentire la connessione.
Tutta questa magnificenza chiamata smart, sentite spesso pronunciare parole come “smart card”, “smart city”, smart significa intelligenza e forse il cretino che non ha visto la Madonna, per citare Carmelo Bene, sono Io.
È in costruzione un gigantesco dispositivo di controllo sociale, e i social network sono una componente importante che serve a rendere l’umanità più coerente e compatta con la nuova frontiera informatica da conquistare. L’infosfera ha ovviamente generato una trasformazione notevole nella forma attuale del capitalismo come modo di produzione, essendo totalmente dipendente dal web. La sostituzione della macchina all’uomo, anche per le operazioni molto semplici, è di tale ampiezza da non poterne fare a meno, quasi niente funziona senza la mediazione della rete: pensate alla vastità delle transazioni economiche, alla circolazione dei dati, ai cavi e al famigerato master switch, capirete perché c’è bisogno di una narrazione influente e rassicurante a protezione del cyberspazio.
Tutta questa descrizione idilliaca del paradiso digitale, fatto di semplicità, intelligenza ed eco sostenibilità, va a schiantarsi con quella che si chiama impronta ecologica. Avete idea di cosa sia? È un indicatore complesso utilizzato per misurare il consumo delle risorse umane e la capacità di rigenerarle. Detto in termini rozzi: la natura è il tuo capitale dal quale estrai un reddito, se sei in equilibrio tu devi vivere solo del reddito prodotto da quel capitale. Non puoi consumare più della quantità di risorse riproducibili.
L’impronta ecologica in equilibrio si esprime con il numero 1, l’impronta ecologica della terra, con tutti gli squilibri è di 1,8, significa che nel mese di agosto finiamo di consumare risorse teoricamente riproducibili e cominciamo a consumare ciò che non potrai più rigenerare. Tornando alle magnifiche sorti dell’infosfera, siamo bombardati da messaggi ammalianti sui luoghi più avanzati del mondo, come la Silicon Valley. Politici, manager, imprenditori sognano la moltiplicazione di queste zone ipertecnologiche, piene di intelligenza artificiale. Sapete qual è l’impronta della Silicon Valley? Sei! Avete letto bene, se diventassimo tutti come loro, dovremmo consumare sei volte le risorse disponibili. Forse è il caso di fare un pensiero su Nikola Tesla?
NOTA
(1) Col termine infosfera si intende la globalità dello spazio e delle informazioni. Pertanto l’infosfera include sia il cyberspazio (Internet, telecomunicazioni digitali), sia i mass media classici.