Il populismo è tornato prepotentemente nel lessico politico e dei mass media, con toni dispregiativi. Presentato sempre come negativo, descritto come una via di mezzo tra demagogia e intolleranza anche se si tratta di un fenomeno mutevole difficile da classificare. Il suo riapparire è il segnale di un’insofferenza profonda e descriverlo con toni caricaturali o come una sindrome politica, segno di immaturità e arretratezza, non elimina la sostanza: esiste un ceto politico-economico autoreferenziale poco sintonizzato con la quotidianità dei cittadini comuni. Giudizi sprezzanti e tentativi di etichettatura di massa, provengono soprattutto da quelle élite progressiste convinte di stare sempre dalla parte giusta che indicano il perimetro entro il quale certe idee trovano spazio nella polis. Un recinto di legittimità, dove tutto ciò che sta al di fuori è solo segno di imbarbarimento. E se i Barbari sfondano il recinto? Si invocano le istituzioni e interventi repressivi, nel nome di una legittimità democratica generica e indefinita.
Il populismo non è un progetto politico organico, si nutre di sentimenti, idee e umori contraddittori. Stando ai suoi critici, esso esprime il lato oscuro e irrazionale della politica, quello dal quale prendono corpo i sentimenti peggiori e più inconfessabili della massa: da qui l’assimilazione all’egoismo sociale, alla xenofobia, all’aggressività e alla ricerca di poche e rassicuranti parole d’ordine. Nessuno nega che tali elementi siano talvolta presenti nell’universo populista, ma si tratta di un’interpretazione accettabile? Una realtà così ambivalente e camaleontica non può essere ricondotta a un autoritarismo spicciolo e rozzo. Per descriverlo non basta richiamare l’immagine suggestiva di una folla di cittadini arrabbiati manipolati da leader politici senza scrupoli; in certe sue incarnazioni storiche, il populismo ha anche significato l’affermazione di una sovranità popolare autentica, il richiamo al realismo contro l’eccessiva “intellettualizzazione” dell’esistenza, il rifiuto della mentalità burocratica, del centralismo e di esperimenti sociali troppo spinti. Storicamente il populismo ha assunto un volto autoritario, altre volte si è presentato sulla scena politica in veste democratica e pluralista. Sforzarsi di capire cosa c’è nel territorio vasto e composito del populismo, serve a comprendere meglio le tensioni intorno a noi.
Il nuovo modo di fare politica attraverso internet, la presenza di un ceto politico svincolato dai tradizionali canali di selezione partitici, specialmente in Italia con l’affermazione del Movimento Cinque Stelle, le vittorie dei partiti identitari in Europa e l’ascesa di Trump alla presidenza degli Stati Uniti, sono espressione, con modalità differenti, di un’ondata politica tipicamente populista, ancora in parte da decodificare.
Il populismo non si presenta con un profilo organicamente strutturato. È piuttosto uno stile argomentativo, una modalità del discorso politico. Ciò che lo caratterizza è il suo eclettismo ideologico, la dimensione interclassista, il suo oscillare tra le categorie destra/sinistra nel tentativo di superarle, la sua natura reattiva e protestataria, il suo apparire nei momenti di crisi. Può assumere molte sembianze: nazionalista, ultraliberale, socialista, operaista, essere reazionario, solidarista, xenofobo. Questa mutevolezza scoraggio tipologie e definizioni e consente agli avversari di applicarlo a tutto.
Il difetto maggiore del populismo è il rischio di trasformarsi in un qualunquismo brontolone, o quello di diventare preda di tribuni improvvisati col sorriso stampato o l’atteggiamento truce, che sfruttano rancori, frustrazioni alla ricerca di un alibi senza mai attaccare la logica del Capitale. Altro difetto del populismo è l’eccessivo ricorso agli appelli o una certa ingenuità verso presunte “virtù innate” del popolo.
La classe politico-mediatica escogita pericoli immaginari, tra questi il populismo, per distrarre dai pericoli veri e dalle proprie miserie. Di solito il populismo si manifesta di fronte ad una crisi di legittimità di un intero sistema, è una reazione contro una classe dirigente distratta e che toglie al popolo ogni ruolo politico. Per fronteggiare questa crisi di rappresentanza, il populismo rifiuta una serie di mediazioni inutili, si scaglia contro quelle istituzioni ingessate e non risparmia nessuno: dai sindacati al potere finanziario. È una ribellione che si pone fuori dalle logiche della democrazia rappresentativa. Più o meno consapevolmente, mostra l’insufficienza della democrazia liberale e dell’ideologia cosmopolita, misurandola sul terreno delle cose pratiche. Con la sua vena anti-elitista è incompatibile con tutti i sistemi autoritari ai quali viene maliziosamente assimilato. Chi lo critica, pone l’accento sulla semplificazione eccessiva delle questioni pubbliche complicate, ridotte a caricature adatte a suscitare istinti irrazionali.
Quante volte si sente dire “il suo è un argomento populista?” Serve solo a troncare il discorso. In realtà questo modo di rappresentarlo nasconde un malcelato disprezzo per i ceti popolari quando non si allineano al pensiero della classe al potere.
Dentro il populismo si trova un forte sentimento di rifiuto e di resistenza contro le istanze più esagerate del liberalismo, l’appiattimento culturale, il lavoro ridotto a merce, l’indulgenza eccessiva verso le culture in conflitto con la nostra. Il fatto che spesso articoli le proprie ragioni con un linguaggio rude e folcloristico, poco adatto al palato raffinato di politologi e commentatori, non può farci trascurare i problemi seri che contribuisce a sollevare.