Il 21 maggio 2014 la Russia ha siglato un accordo per fornire alla Cina 38 miliardi di metri cubi di gas all’anno per trent’anni. L’accordo con la Cina ha fornito alla Russia l’ossigeno a est per tentare un contrattacco a ovest in difesa dei propri interessi: l’Ucraina è il campo di battaglia, il corral dove avviene la sparatoria tra russi e americani, con tedeschi e francesi nel tentativo disperato di fare la parte degli sceriffi.
L’accordo tra Russia e Cina è arrivato dopo trattative durate anni ma giunte allo snodo decisivo l’anno scorso, quando Gazprom e Cupe (China National Petroleum Corporation) siglarono un memorandum d’intesa che poi ha portato alla firma, chi ama le coincidenze sospette noterà che la lunga trattativa russo-cinese si è esattamente svolta il parallelo con il negoziato affrontato dall’Ucraina per arrivare alla firma (27.06.2014) dell’accordo di associazione e cooperazione economica con l’Unione Europea.
Fino a che punto sono coincidenze?
Secondo la terza legge della dinamica fisica a ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Principio applicabile alla politica reale delle due super-potenze. Quello tra Russia e Cina mette per la prima volta a stretto contatto il maggior detentore, estrattore ed esportatore di risorse energetiche con il maggior consumatore delle stesse. A questo dato possiamo aggiungere che la Cina, il paese più popoloso, si aggancia alla Russia, il paese più vasto del mondo e dotato del 10% delle terre fertili del pianeta e del sottosuolo più ricco. Tutto questo avviene tra due nazioni che si sono a lungo guardate in cagnesco, nonostante un confine di oltre quattromila chilometri. Occorre tuttavia definire le giuste proporzioni. In primo luogo, il volume relativamente ridotto delle consegne: 38 miliardi di metri cubi di gas l’anno, ma solo a partire dal 2018 e solo dopo il completamento del gasdotto diretto che comporterà una spesa di 50 miliardi di dollari per Mosca e 20 per Pechino. Poca roba di fronte ai 160 miliardi di metri cubi che in media negli ultimi quattro anni la Russia ha venduto all’Europa che genera il 40% degli incassi di Gazprom.
Niente di nuovo?
Da decenni la politica energetica e la politica estera, sicurezza degli approvvigionamenti e sicurezza tout court sono diventati sinonimi. Il patto siglato tra Putin e Xi Jinping ha provocato una scossa molto forte, perché incide sulla cosiddetta “politica di contenimento” degli Stati Uniti.
La Cina ha un problema di vulnerabilità delle sue linee di rifornimento energetico, oggi basate su quella che viene definita la “collana di perle”. Si tratta di una serie di basi commerciali e militari che Pechino ha impiantato sul proprio territorio (Hong Kong, Isola Hainan), su territori contesi (Isole Spratly , Isole Paracel) oppure in seguito ad accordi con paesi come Cambogia, Thailandia, Myanmar, Bangladesh, Sri Lanka, Pakistan, Kenya fino a Port Sudan (Sudan del Nord). L’obiettivo è di proteggere i collegamenti con il Medio Oriente e con l’Africa che sono tuttora la più importante provvista energetica cinese perché circa il 70% del suo petrolio arriva da lì. Sono rotte lunghissime, dove bisogna infilarsi in piccoli spazi marittimi come gli Stretti di Hormuz (Golfo Persico), Bab El-Mandab (Mar Rosso e Oceano Indiano), Malacca (tra Indonesia e Malesia) e Lombok (tra Mar di Giava e Oceano Indiano). Acque turbolente, agitate, politicamente critiche e spesso militarizzate.
Ecco perché un accordo trentennale a prezzi ragionevoli e un solido collegamento via terra con la Russia rappresentano una soluzione conveniente. L’accordo è una risposta a tutti i tentativi americani di creare tensioni e destabilizzazioni negli stati che più direttamente si connettono a Mosca e Pechino. La prima ha tenuto una certa presa sull’Asia centrale e nello spazio ex sovietico, la seconda ha lavorato fino a garantirsi, oltre a una certa penetrazione commerciale, anche collegamenti energetici importanti con Turkmenistan (quarto paese al mondo per riserve di gas naturale), Uzbekistan e Kazakistan.
Gli Stati Uniti hanno continuato con la strategia di contenimento (leggasi “rompere le scatole”), cercando di creare una barriera all’espansionismo cinese, utilizzando il Giappone, l’Indonesia e in parte il Vietnam. Il più stretto legame tra Russia e Cina è un ostacolo notevole.
Accanto alle implicazioni di medio e lungo periodo, il patto energetico siglato tra Mosca e Pechino potrebbe avere conseguenze più immediate. Il gasdotto dovrebbe consegnare 38 miliardi di metri cubi di gas a partire dal 2018, un secondo impianto puntato verso le province occidentali della Cina, potrebbe far arrivare altri 61 miliardi di metri cubi l’anno. A sollecitare le inquietudini americane è il tracciato che dovrebbe raggiungere Blagovescenk per congiungersi al tratto cinese delle condotte e poi proseguire di nuovo in territorio russo fino a Vladivostok per rifornire di gas un grande impianto di liquefazione che la Russia dovrebbe costruire a partire dal 2018, destinato a sostenere le ambizioni del Cremlino per il mercato asiatico del gas naturale liquefatto (gnl).
Tutta questa manovra apparentemente complicata renderebbe il prezzo del gas russo più competitivo e se a questo aggiungiamo l’intenzione manifestata dalla Cina di acquisire una partecipazione importante nell’impianto di liquefazione russo in costruzione a Vladivostok, è facile capire come il gas sia alla base di un’operazione politica temeraria. Si tenta così di ridimensionare il progetto degli Usa di invadere il mercato mondiale di gas derivato da argille, ricavate dalla tecnica delle fratturazione idraulica (fracking). A Washington sognano di trasformarsi nell’Arabia Saudita del cosiddetto shale gas per sganciarsi almeno in parte dalla dipendenza e dalle turbolenze dell’oriente arabo.
Cosa c’entra tutto questo con gli spari nell’est ucraino? I gasdotti che attraversano l’Ucraina forniscono buona parte del gas che la Russia vende ai paesi europei. Ritrovarsi un governo ostile a Mosca, per di più freddo esecutore delle direttive statunitensi, ha innescato un conflitto locale con implicazioni internazionali. L’Europa, con l’azione di Germania e Francia, cerca non senza contraddizioni, di spegnere questo incendio.
Secondo voi Putin può accettare che Obama controlli i rubinetti del gas russo verso l’Europa?