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20 Febbraio 1909. Il Futurismo irrompe sulla scena dell’Europa

Il 20 febbraio 1909 è una giornata fredda e lievemente piovosa. Un uomo poco più che trentenne si aggira tra i giganteschi carri colmi di verdure del mercato di Parigi. È impaziente, ha atteso con fervore l’apertura dei chioschi di giornale per potere acquistare una copia di “Le Figaro” che ha appena pubblicato in prima pagina uno scritto esplosivo intitolato Le Futurisme. Un autentico fuoco incrociato contro ogni conformismo. In calce una firma che diventerà leggenda F.T. Marinetti. La redazione del quotidiano ha ritenuto opportuno far precedere il testo da una presa di distanza nei confronti del “giovane poeta italiano e francese dal talento notevole e focoso”, lasciandogli tutta la responsabilità “delle sue idee singolarmente audaci e d’una violenza spesso eccessiva per delle cose eminentemente rispettabili”. Quello che sembrava solo uno scritto ad alto tasso di provocazione, segnerà l’inizio dell’avventura di una delle più dirompenti avanguardie artistiche del Novecento.

Il proclama, nelle intenzioni di Marinetti, serve ad innescare la miccia per fare esplodere i conformismi, il culto del passato e la tirannia delle accademie che opprimono la letteratura contemporanea. Ma il Futurismo andrà oltre l’arte, diventerà azione nella società.

In quel febbraio del 1909 sono ancora in pochi a comprendere l’irruenza sibillina di quel grido rivoluzionario. “Avevamo vegliato tutta la notte – i miei amici ed io – sotto lampade di moschea dalle cupole di ottone traforato, stellate come le nostre anime, perché come queste irradiate dal chiuso fulgòre di un cuore elettrico. Avevamo lungamente calpestato su opulenti tappeti orientali la nostra atavica accidia, discutendo davanti ai confini estremi della logica ed annerendo molta carta di frenetiche scritture”.

La nascita del Futurismo viene narrata in chiave mitico-allegorica con una tecnica di comunicazione innovativa. Il salotto orientale è quello del poeta a Milano, arredato con i mobili della casa paterna di Alessandria d’Egitto, dov’è nato il 22 dicembre 1876. Il bivacco di giovani ha un duplice significato autobiografico e simbolico: è una specie di veglia funebre attorno al cadavere del passato culturale da cui l’autore intende sganciarsi, rifiutando una buona volta quella concezione dell’arte come attività separata dal flusso della vita. Leggiamo:

“Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli!… Perché dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose porte dell’Impossibile? Il Tempo e lo Spazio morirono ieri. Noi viviamo già nell’assoluto, poiché abbiamo già creata l’eterna velocità onnipresente”.

 

Nick Land, l’accelerazionismo e i deliri post umani

Nel 1995 nell’Università di Warwick in Gran Bretagna, un gruppo di ricercatori di varie discipline, si organizzarono al di fuori delle logiche accademiche con il nome di CCRU, acronimo di Cybernetic Culture Research Unit. Filosofi, biologi, letterati impegnati nelle elaborazioni di nuove teorie su capitalismo, società e strutture politiche. I principali promotori furono la filosofa Sadie Plant, poi Mark Fisher e infine il più sulfureo e carismatico di tutti: Nick Land.

Il CCRU in breve tempo pose le basi del movimento conosciuto come “accelerazionism” (accelerazionismo) e della theory fiction. Essi non volevano far crollare il capitalismo, ma volevano spingerlo ai massimi livelli, fino alle estreme conseguenze per mostrare tutte le contraddizioni e immaginare un nuovo inizio. Chi è alla ricerca di un facile sistema politico-filosofico, è fuori strada perché qui il discorso si complica sempre di più. All’interno del CCRU convivevano posizioni diverse e contrastanti sugli esiti dell’accelerazione. Fisher immaginava un’utopia “digital comunista” confidando nella possibilità delle macchine di sostituire progressivamente il lavoro, mentre altri come il controverso Reza Negarestani consideravano la fase oltre il capitalismo come un viaggio sperimentale esoterico ai confini dell’umano. Nick Land parlava apertamente di un momento “meccanico” e disumano della storia.

Turbolento, psichedelico, apocalittico, eterodosso. Nick Land in anticipo sui tempi, ha chiaro fin da subito la prospettiva di una fusione dell’umano con la tecnica e l’intelligenza artificiale, quasi a volere superare la condizione limitante di nevrosi e schizofrenia in cui si dimenano le società consumistiche. La raccolta di articoli scritti da Land tra il 1995 e il 2007, raccolti in un libro dal titolo suggestivo No Future sono un condensato grottesco e apocalittico di Lovecraft, il superomismo di Nietzsche, richiami a film come Blade Runner e molto altro. Tutto scritto con un la tecnica della theory fiction, una fusione tra lo stile analitico-razionale del saggio scientifico e le digressioni filosofiche e letterarie che fanno a pezzi sistemi e concetti che egli ricompone in una scrittura a tratti complicata e destrutturata.

Land parte dal presupposto che gli individui si muovono in un mondo che non conoscono e capiscono e mentre provano a dargli senso e a raccontarlo, non sanno che non potranno mai decifrarlo in profondità. I riferimenti a Deleuze e Guattari entrano nel campo della dipartita della Ragione, indicando nella società del grande capitale il massimo della schizofrenia. Per Land, non c’è via di fuga, bisogna attraversare le terre pericolose del disordine postmoderno. Lui è come il capitano Kurtz del romanzo di Conrad, il cuore di tenebra della civiltà delle macchine. Oltre la schizofrenia c’è solo la fusione con la tecnica, la singolarità biotecnologica, l’inizio del sogno (o incubo?) cybergotico. Land considera il razionalismo un simulacro putrescente che immette sangue infetto, indebolisce fino a fare marcire le idee che propaga.

Abbattendo i residui della vecchia civiltà borghese “finché la terra diventi talmente artificiale che il movimento di deterritorializzazione crei necessariamente da sé stesso una nuova terra”. Capace di creare “la fine del mercato globale e l’arrivo del cyberspazio, insurrezione degli elettromani, diluvio sciamanico nero, ibridazioni polimorfe, riclonazione genetiche macchini che. Il mondo nuovo…loading”. In un delirio lucido in cui “gli scienziati agonizzano e i cybernauti sfrecciano”. Teorie che nei testi Meltdown e Circuiterie superano la dimensione del saggio con espressioni tipo:

“Derive di rifiuti densamente semiotizzati e quasi senzienti si contorcono e appestano l’aria nella calura tropicale di un clima andato a puttane”.

“Le strutture di governo dei centri metropolitani orientali e occidentali si sono consolidate come Complessi Medico-Militari di sorveglianza della popolazione”.

Una visione ricca di anomalie, deliri e di distopie che hanno contagiato la nostra società.

 

Gli accelerazionisti: chi sono, cosa vogliono e perché vanno presi sul serio

Negli anni Sessanta la parola “accelerazionista” come come riferimento a un gruppo di rivoluzionari che voleva trasformare la mentalità con la quale la società approcciava alla tecnologia. A ispirarli, un romanzo di fantascienza, Lord of Light di Roger Zelazny, pubblicato nel 1967.

Molti anni dopo a riprendere quel termine, sarà Benjamin Noys analizzando le teorie eccentriche di Nick Land, filosofo e animatore del CCRU, Cybernetic Culture Reserach Unit che a partire dal 1995 si riuniva all’Università di Warwick in Inghilterra. Il gruppo informale si occupava soprattutto di intelligenza artificiale e dell’impatto dominante della tecnica sugli individui. I resoconti delle riunioni e delle conferenze del CCRU sembrano usciti da un romanzo: musica elettronica, proiezioni, anfetamine in un clima poco accademico. Quell’esperienza durerà qualche anno tra confronti dialettici e rotture insanabili, ma quelle idee non sono scomparse, hanno trovato un terreno fertile tra i ceti dell’economia digitale e gruppi disparati come nuovi reazionari e utopisti rivoluzionari. 

 

Il Populismo come recupero della dimensione politica

Nel lessico e nell’immaginario politico da qualche anno è ricomparso il populismo. Parola non nuova, fenomeno e sentimento che si manifestano in momenti di forte crisi o di passaggio verso qualcosa di nuovo. Illusione, minaccia, deriva, tentazione autoritaria, sono alcune delle espressioni che ricorrono maggiormente nel discorso pubblico dominante quando si parla di populismo. La descrizione del piccolo diavolo tentatore che stimola i cattivi comportamenti dei ceti popolari, serve alle classi dirigenti per stigmatizzare chi rimprovera loro di aver confiscato il potere utilizzandolo senza freni. Si vorrebbe gettare il populismo nella pattumiera della storia, definirlo come un corpo estraneo per evitare di fare i conti con il sostanziale fallimento della democrazia rappresentativa liberale, ridotta a semplice sequenza procedurale che si adatta per inerzia all’interesse economico-finanziario dominante.

A partire dallo schianto finanziario del 2008–2009, il forte desiderio di contestazione del sistema di rappresentanza è aumentato sempre di più. E quando il popolo ha espresso un parere deviando dal percorso definitivo e gradito dalle classi dirigenti, è iniziato lo stato d’agitazione.

Messa in tutte le salse, la parola populismo perde ogni significato, sfugge alla diagnosi e alla corretta definizione del fenomeno. Coloro che accusano i partiti populisti di genericità o demagogia, sono i primi a comportarsi allo stesso modo perché utilizzano il populismo come una parola passepartout che apre le porte a qualsiasi interpretazione, il più delle volte peggiorativa. Sembra di assistere ad un’attività tesa a scoraggiare ogni teoria del populismo, quindi è più semplice oltraggiarlo che studiare la natura del fenomeno.

Roger Eatwell e Matthew Goodwin nel saggio intitolato “National Populism — The Revolt Against Liberal Democracy, rimproverano questo atteggiamento: “molti di noi hanno troppa fretta nel condannare più che nel riflettere rimanendo aggrappati agli stereotipi che corrispondono al loro punto di vista più che affrontare le rivendicazioni basandosi su prove concrete”.

Il termine populismo per le classi dirigenti è sinonimo di patologia, siccome se ne dà sempre una definizione poco chiara, si ricorre a termini medici come “cura” o “rimedio” per inculcare sempre qualcosa di negativo, suscitare repulsione morale e alzare il muro del recinto dove segregare i cattivi e proteggere i bravi cittadini. Concretamente, si è sviluppato una specie di cordone sanitario che permettesse di separare nelle menti e ai seggi elettorali, i partiti “perbene” e quelli “infrequentabili”. Una tattica “morale” che ha fatto cilecca. Il populismo ha spezzato il recinto e ha costretto gli altri a mettere in discussione molte certezze.

Aspettando l’Europa

Ogni grande idea politica attinge alle sorgenti di fede e si fonda su una intuizione del mondo che precede ed eccede ogni fondazione razionale. La qualità del ceto politico si misura nella dedizione con cui serve una causa, dalla lungimiranza e da una visione politica in grado di misurarsi con l’orizzonte del possibile. L’Europa può diventare un grande polo di un ordine mondiale basato su nuovi equilibri, lo è in potenza, purtroppo non lo è ancora nella sostanza. Qualcosa si intravede ma non basta, quell’aggregato chiamato Unione Europea non sta mostrando il meglio di sé. Sicuramente manca la grande politica e una mentalità ambiziosa capace di ragionare in termini di potenza. Il difetto sta nella narrazione offerta dalle élite europee poco abituate a un pensiero strategico completo, allucinate dall’idea di diluire ogni conflitto nella soluzione fisiologica del calcolo economico e convinte di riuscire prima o poi a raggiungere un equilibrio armonico. I più devastanti conflitti europei sono scoppiati come conseguenze dei tentativi di superare il pluralismo politico del continente. L’Unione Europea è ancora un territorio di scontro, attraversato da una cacofonia di interessi nazionali che a volte convergono e altre si contrappongono in un equilibrio sempre precario.

Ancora su Aleister Crowley

Genio o impostore? Mostro o istrione? Psicopatico da rinchiudere o artista eccentrico? Mai come nel caso del controverso Aleister Crowley, il più noto tra tutti gli occultisti, si pone il dilemma di quale sia la definizione giusta. Le nozze chimiche di Aleister Crowley (Odoya, pagg 335, euro 22) di Franco Pezzini, ricchissimo di informazioni, si propone di riuscirvi ricostruendo l’impatto da lui avuto sul mondo della cultura.

Nato nel 1875 in Inghilterra, la Grande Bestia 666, come si faceva chiamare, ebbe un’infanzia difficile. I genitori appartenevano a una setta di fondamentalisti evangelici. La reazione alla repressione fu esplosiva, anche perché il giovane Aleister mostrò una precoce propensione a molteplici interessi, tra cui gli scacchi, la poesia, l’alpinismo (con una infruttuosa scalata del K2) e, in seguito, pure la pittura. Il patrimonio ereditato alla morte del padre gli consentì di vivere temporaneamente negli agi, dando libero sfogo alle pulsioni primarie che covavano in lui. Dotato di una sessualità prorompente, che non faceva particolari distinzioni di genere, Crowley si abbandonò ad avventure di ogni tipo e maturò un distacco dalla religione o, piuttosto, dal cristianesimo dei genitori, rivolgendosi a un panteismo esoterico, con la fondazione di una sua corrente mistica, Thelema, di cui era al tempo stesso custode, sommo sacerdote e, in qualche modo, divinità.

Crowley conobbe numerose figure iconiche dei primi del Novecento e intrecciò relazioni scandalose con donne e uomini. Fu anche grazie a un’assoluta promiscuità sessuale (con innumerevoli partner, divorzi, separazioni, tragedie personali come la morte per tifo della primogenita, figli legittimi e soprattutto illegittimi sparsi per il mondo) che Crowley divenne una sorta di icona del proibito. Animato dall’ossessione di concepire un maschio che potesse fregiarsi del titolo di figlio della Bestia, vittima della depressione e ben presto pure dell’eroina, inizialmente assunta a scopo ricreativo e poi diventata anestetico contro la sofferenza interiore e fisica, Crowley finì per essere criminalizzato «come l’uomo più malvagio del mondo in un momento storico in cui potenti osannati di grandi platee di buoni causavano guerre e genocidi».

Tra le sue molteplici passioni figura la scrittura. Malgrado, infatti, Crowley non venga preso sul serio come autore, molti romanzieri hanno tratto ispirazione dalle sue smargiassate per concepire storie ai confini tra realtà e immaginazione. Il romanzo Il mago (1908) di Somerset Maughan, contemporaneo di Crowley e, a sua volta, bisex, è un thriller sovrannaturale ispirato alla figura della Bestia, che non la prese bene e che tacciò l’autore di plagio. Ma lui stesso aveva sempre carta e penna a portata di mano e nel 1917 pubblicò il romanzo La figlia della luna.

La sua prosa ispirò racconti di Sir Arthur Conan Doyle e intrigò G.K. Chesterton e la sua figura destò la curiosità di William Butler Yeats, a sua volta mago e occultista, e di Fernando Pessoa, che intrattenne con lui una fitta corrispondenza. Accusato di spionaggio per conto tanto dei tedeschi quanto degli inglesi, trascorse un lungo periodo in una villa di Cefalù, prima di essere espulso su ordine di Mussolini per i comportamenti dissoluti e orgiastici.

La curiosità e la sete di conoscenza rappresentano il filo rosso che lega numerosissime opere letterarie in qualche modo debitrici nei confronti di Crowley. Dennis Wheatley, popolarissimo autore di noir e appassionato di occultismo, conobbe Crowley e si ispirò a lui per il romanzo Il battesimo del diavolo.

Ma furono gli anni Sessanta, ben dopo la sua morte avvenuta nel 1947, a segnare un suo ritorno in auge. Nel mondo occidentale si esaltavano le capacità delle droghe di ampliare i confini della mente. Alfred Adler e Aldous Huxley lo avevano conosciuto, anche se pare un po’ campata in aria la tesi secondo cui lo stesso Jim Morrison (che aveva scelto il nome The Doors per via del saggio Le porte della percezione di Huxley) sarebbe stato un ammiratore di Crowley. Quanto alla presenza di Crowley sulla copertina di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band dei Beatles, le illazioni su una presunta passione di Paul McCartney per l’occultismo si sprecano, considerata la sua presunta, leggendaria morte. A chi piace attribuire un senso ad accostamenti numerici casuali, i 65 personaggi della copertina più i Beatles come entità unica fanno 66, un’assonanza intrigante con il numero della Bestia.

 

La crisi spiegata attraverso il Faust di Goethe

La crisi economica è oggetto di litigi infiniti e discussioni complicate dalla difficoltà di trovare un rimedio. Poi ci sono quelli convinti di avere la soluzione a portata di mano con qualche aggiustamento tecnico. Parole come moneta, debito pubblico, inflazione, deflazione, austerità scatenano una tempesta di opinioni, deduzioni e argomentazioni con il rischio di consumarsi nel linguaggio dell’ovvio. Su questo terreno si affollano accademici più o meno competenti, studiosi preparati e una folla di “dilettanti titolati” che non capiscono niente ma lo scrivono bene.

Nel salotto di Madame Pompadour la donna più potente a Parigi nel XVIII secolo, il medico del Re Luigi XV, discuteva della circolazione delle merci paragonandola a quella del sangue. Tra un pettegolezzo politico e le storie sui giganti della Patagonia, l’economia diventava una scienza raffinata ridotta a calcolo meccanico. Ed è proprio qui che sta l’inghippo, perché si continua a discettare sulla scienza economica dimenticandosi della mentalità dell’epoca in cui viviamo. In tal senso, il Faust di Goethe può aiutarci.

Clifford Douglas e la teoria del credito sociale

A sentire l’autorevole John Kenneth Galbraith, le sue teorie economiche erano degne di suscitare interesse solo “in luoghi remoti come praterie canadesi”, ma le tesi di Clifford Hugh Douglas, fondatore del movimento del Credito Sociale, non possono essere liquidate con una sbrigativa stroncatura accademica. Personalità lineare, uomo creativo e pratico, Douglas nacque in Inghilterra nel 1879 e morì nel 1952. Dopo aver studiato all’Università di Cambridge, fu ingegnere specializzato nell’analisi dei costi industriali del settore ferroviario. Ricoprì diversi incarichi e lo chiamavano “il Maggiore” per via del grado militare nei Royal Flying Corps durante la prima guerra mondiale e successivamente nella riserva della RAF. Il suo interesse per lo studio dei meccanismi economici, iniziò nel 1918 quando sul numero di dicembre della English Review apparve un articolo intitolato “The Delusion of Super-production”. Mentre stava riorganizzando il lavoro del Royal Aircraft Institut, durante il periodo bellico, Douglas notò che il costo totale settimanale di merci prodotte era maggiore delle somme versate ai lavoratori sommando salari, stipendi e dividendi.

Questo sembrava contraddire la teoria economica classica, secondo la quale, tutti i costi sono distribuiti simultaneamente come potere d’acquisto. Il Maggiore raccolse dati da più di un centinaio di grandi imprese britanniche, e rilevò che in ogni caso, le somme versate a titolo di stipendi, salari e dividendi erano sempre state inferiori ai costi totali dei beni e servizi prodotti ogni settimana: ciò significava che i lavoratori non erano stati pagati abbastanza per poter acquistare ciò che avevano realizzato. Una constatazione apparentemente banale che lo spinse a studiare il rapporto tra produzione e funzione monetaria.

Douglas era un sostenitore della libertà individuale che vedeva minacciata da tutte le forme di monopolio e in particolare da quello del credito. Nel corso degli studi, decise di fondare il movimento politico noto come “Social Credit”. Dal mese di giugno del 1919, il periodico The New Age diretto da Alfred Richard Orage, che già ospitava gli scritti di Ezra Pound, pubblicò a puntate quello che sarebbe stato il primo libro di Douglas: Economic Democracy. Nel 1920 per tramite di Orage, conobbe il poeta americano che più volte gli renderà omaggio nei suoi Cantos. In Carta da Visita Pound ricorderà: «Quel movimento (di Douglas ndr) fu la porta dove entrai nella curiosità economica».

La grande depressione del 1929 diede a Douglas un’ampia notorietà, confermando la sua diagnosi sul principale difetto del modello economico classico: l’equilibro sempre precario tra abbondanza e povertà. In quel periodo si recò in Giappone, Australia e Nuova Zelanda presso i parlamenti e scrisse una relazione per la commissione finanze del governo britannico. Nel 1933 costituì sotto la sua presidenza, il Social Credit Secretariat, un centro studi che offriva consulenze. Nel 1935, nella regione canadese dell’Alberta, un movimento politico ispirato dalle sue teorie economiche vinse le elezioni ma fu continuamente ostacolato dal governo federale e dalla Corte Suprema.

Nel 1938 fu fondato il periodico The Social Crediter.

Il nuovo puritanesimo: il genere come “costruzione” culturale

Nel dicembre del 2014, il filosofo ateista Michel Onfray, idolo della sinistra progressista, è caduto in disgrazia per avere espresso giudizi negativi sulle teorie improntate alla negazione della differenza sessuale. In quel periodo in Francia sono stati distribuiti una serie di opuscoli nelle scuole, preparati dal ministero dell’Educazione, sul superamento degli stereotipi sessuali o presunti tali. Poi è stato il turno di Germania, Italia e altre nazioni europee. Con la scusa dell’educazione contro i pregiudizi, è partita da qualche anno un’attività di propaganda nelle scuole, dove la manipolazione è più semplice. All’epoca a Onfray, è bastato un semplice tweet, per attirare su di sé gli strali dei suoi sostenitori: “E se a scuola, al posto della teoria del genere e della programmazione informatica, si insegnasse a leggere scrivere, scrivere, far di conto, pensare?”

In quei giorni, la filosofa Bérénice Levet, pubblicava il libro “La theorie du genre, ou le monde reve des anges” (Grasset), anche lei aggredita dal battaglione dei benpensanti di una sinistra che ha smarrito il retaggio libertario per diventare l’avanguardia di un odioso puritanesimo. Successivamente, Onfray sulle pagine del Nouvel Observateur, riprendeva l’argomento, spiegando la lotta in corso “tra chi afferma che il corpo e la carne non esistono, che gli essere umani sono solo archivi culturali, che il modello originale dell’essere è l’angelo, il neutro, l’asessuato, la cera malleabile, l’argilla priva di sesso da plasmare sessualmente, e chi sa che l’incarnazione concreta è la verità dell’essere che viene al mondo. Il che non esclude la formattazione fallocratica, ma non le lascia l’onnipotenza”.

In Germania, da qualche anno è attiva Besorgte Eltern, (“genitori preoccupati”), un’associazione che raccoglie tutti quei cittadini che si oppongono all’insegnamento nelle scuole delle cosiddette “teorie del gender”. Il suo fondatore è Mathias Ebert di Colonia e con altri gruppi sparsi sul territorio tedesco ha organizzato una serie di sabotaggi: i genitori si rifiutano di far partecipare i bambini alle lezioni di educazione sessuale e pertanto, vengono denunciati all’autorità giudiziaria. Anziché pagare la sanzione, preferiscono farsi arrestare. In Francia sono attivi i gruppi della rete Le Manif pour tous, in Italia sono conosciuti sotto la sigla di Generazione Famiglia.

Il 25 aprile non è la mia festa

Il 25 aprile non è la mia festa. Io sto dalla parte sbagliata, con quelli che scelsero di non abbandonare i camerati della prima ora e di proseguire fino alla fine, consapevoli di andare verso una sconfitta sicura. La maggior parte di loro non lo fece in ossequio a una disciplina di apparato, ma per riscattarsi dal disonore sparso dai tanti voltagabbana. Uomini e donne che rifiutarono la codardia e decisero di rischiare, di non restarsene rintanati in casa in attesa che passasse la tempesta. Non si misero un fazzoletto al collo pochi giorni prima della disfatta per battere le mani ai vincitori.

Appartiene all’indole aristocratica combattere perché è giusto farlo, senza certezze, senza calcoli, solo per l’onore. Per questi ragazzi non provo una misurata compassione, ma una sincera ammirazione, un’identità di sentimenti. La lealtà sul campo di battaglia è più importante di ogni giudizio morale.

Le pecore pascolano sui cadaveri dei lupi, ma restano pecore. Rifiuto il vostro canone rispettoso di un’idea dogmatica della storia. Non mi importa della vostra dicotomia bugiarda del bene e del male, tra la beatitudine democratica e l’inferno dell’eresia. Non cerco accoglienza nella vostra polis, non mostro deferenza.

Laggiù nelle terre selvagge, gli eretici cantano in mezzo ai fuochi accesi per la notte. Ridono di tutto. L’onda sonora di quelle risate infrange il muro delle vostre certezze. Una sconfitta non muta un sentimento, la vostra collera per la nostra mancata conversione, si trasforma nella nostra gioia.

Io sto dalla parte del torto.

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