Due settimane fa, i giornali Guardian e New York Times hanno pubblicato una serie di articoli che dimostrerebbe l’uso scorretto di un’enorme quantità di dati prelevati da Facebook, da parte di una società di consulenza e marketing on line, la Cambridge Analytica. La fonte primaria dell’inchiesta, è l’ex dipendente e analista della società britannica Christopher Wylie, che ha spiegato come sono stati profilati e monitorati circa cinquanta milioni di utenti su Facebook. Il sospetto è che Cambridge Analytica abbia influenzato le intenzioni di voto di milioni di persone, soprattutto negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, nel primo caso per favorire la vittoria di Donald Trump e, nel secondo caso, per condizionare il voto a favore dell’uscita di Londra dall’Unione Europea. Tutta questa vicenda ha messo Facebook al centro di una grande bufera mediatica e ha riaperto ancora una volta, l’ennesimo dibattito sull’utilizzo dei dati degli utenti di Internet. La storia ha molte ramificazioni, diversi protagonisti e sono molti aspetti da chiarire.
Cambrigde Analytica è una società fondata dall’imprenditore americano Robert Mercer nel 2013, specializzata nell’analisi psicometrica degli utenti dei social network: a partire dalla camparazione dei “mi piace” lasciati su Facebook, gli esperti sono in grado di definire il profilo comportamentale e le caratteristiche più salienti della personalità dell’utente digitale. Maggiore è il numero degli elementi analizzati, più preciso sarà il profilo.
Tornado all’attualità, secondo quanto emerge dall’inchiesta, i profili elaborati da Cambridge Analytica sarebbero stati integrati con altri dati di profilazione commercializzati dagli “information broker”, ossia aziende che raccolgono informazioni su abitudini dei consumatori, attraverso le tracce digitali che ognuno lascia dietro di sé sul web e altri sistemi connessi. Le tracce digitali sono tantissime: ogni acquisto fatto con la carta di credito, le carte fedeltà dei supermercati, le applicazioni sugli smartphone o le ricerche che si fanno su internet, grazie a speciali software, posso fornire dati per indirizzare la pubblicità. Per esempio se cercate pantaloni o libri, dopo un po’ compariranno pubblicità di quei prodotti, elaborati dal motore di ricerca. Cambridge Analytica ha potuto sviluppare un sistema potente capace di veicolare online pubblicità estremamente personalizzata: si chiama microtargeting comportamentale.
IL RUOLO DI FACEBOOK
Per capire il ruolo della società di Mark Zuckenberg, dobbiamo tornare al 2015, quando un ricercatore dell’Università di Cambridge, Aleksandr Kogan realizzò un’applicazione chiamata “This is your digital life”, che prometteva di ottenere profili psicologici e di previsione del proprio comportamento, basandosi sull’attività online. Per utilizzarla, bisognava registrarsi con i propri dati di accesso a Facebook e di conseguenza si accettava di condividere alcuni dati personali. Nel 2015 l’applicazione di Kogan raccolse 270mila iscritti e tra le informazioni che all’epoca Facebook consentiva di ottenere c’erano anche i dati relativi alla rete di amicizie virtuali. Secondo quanto riportato da New York Times e Guardian, questa pratica, in seguito bloccata da Facebook, avrebbe permesso a Kogan di rastrellare i dati di 50 milioni di utenti, incrociando le reti di amicizie. Secondo le condizioni d’uso di Facebook, chi raccoglie i dati degli utenti non può condividerli con terzi, pena la sospensione dell’account. A Facebook, Chris Wylie contesta di aver saputo del problema dal 2016, di non avere informato gli utenti coinvolti e di essersi fidata con superficialità, delle certificazioni fornite da Aleksander Kogan e Cambridge Analytica sulla cancellazione del database in loro possesso. Quest’ultima avrebbe avvisato il social network di avere a disposizione dati acquisiti in violazione dei termini d’uso e di averne disposto la distruzione. Tuttavia è strano che l’account di Cambridge Analytica sia stato sospeso solamente venerdì 16 marzo.
In questa storia è stato chiamato in causa anche Steve Bannon, l’ex stratega di Donald Trump ed ex gestore del sito Breitbart News, il quale avrebbe intuito le potenzialità di certe soluzioni sviluppate per utilizzare i dati in chiave elettorale. Quindi Cambridge Analytica, che ha offerto consulenza in passato a molti gruppi politici, sarebbe una specie di comitato elettorale digitale capace di influenzare le intenzioni di voto.
CONSIDERAZIONI
- Alcuni media hanno evidenziato che l’inchiesta ha avuto il merito di portare nuovi elementi nel dibattito sulle notizie false e sulla facilità di diffusione di questi contenuti tramite un uso distorto dei social network. Tuttavia alcune valutazioni sono esagerate e non ci sono prove incontrovertibili, ma solo una serie d’indizi assemblati con la malizia tipica di chi vuole sostenere una teoria precostituita: c’è una società vicina alla destra americana Cambridge Analytica, fondata dal miliardario Robert Mercer, sostenitore di Trump, amico di Bannon e in buoni rapporti con Nigel Farage dell’Ukip. Trump ha affidato a questa società la raccolta dei dati per la campagna elettorale e ha vinto, l’Ukip ha ottenuto una vittoria con l’uscita della Gran Bretagna dall’UE, e quindi hanno vinto anche grazie alla manipolazione delle informazioni.
- Molte cose sul funzionamento di Facebook e degli altri social network, così come delle società di marketing online, sono risapute. Il divieto di condividere i dati con soggetti terzi non autorizzati, non è di fatto applicato e chi sostiene il contrario mente (in buona fede o in malafede). Infatti, le agenzie di informazione e sicurezza acquisiscono tutto senza chiedere il permesso.
- Facebook, Twitter, Instagram e gli altri sono prima di tutto dei giganteschi apparati di controllo sociale. Fa ridere tutta la preoccupazione da parte di gente che racconta ogni particolare risibile della propria esistenza con un post. Internet è anche un campo di battaglia politico e ognuno lo utilizza secondo i propri mezzi. Obama nel 2012 ha recuperato punti e vinto ampiamente contro Mitt Romney, grazie anche all’analisi massiva dei profili su Facebook.
- La verità è che a questi giornali progressisti viene il mal di stomaco di fronte a certi risultati elettorali, perché se i cittadini scelgono secondo i loro desideri, sono coscienziosi e responsabili, se vincono i cattivi, sono manipolati e rozzi (lo scriverò fino alla noia). I media tradizionali non accettano di aver perso il monopolio del filtro e della mediazione delle informazioni e delle idee, non sopportano la diffusione di siti e blog che approfondiscono e vanno oltre il “frame” stabilito.
(fine prima parte)
(ps. Torneremo con approfondimenti su questi argomenti)