“Bukowski è il vecchio cattivo, il personaggio laido che si trova in tutte le fiabe. Lo diresti uscito dalla penna di Grimm! È la mitica figura dello gnomo, del gobbo, il disgraziato, la bestia. Incarna il lato ripugnante, la figura sconvolgente e minacciosa del padre. Ha l’aspetto deforme di chi trasuda sofferenza, e nello stesso tempo, esercita una forte attrazione sessuale. Una parte della nostra psiche è affascinata da questa figura di satiro. Nel contempo è uno che sa esprimersi meravigliosamente (…) Un personaggio davvero sorprendente, che sa mettere il dito su qualcosa di misterioso, di particolare della coscienza americana, che sa evidenziare gli aspetti sordidi dell’esistenza e che ha il dono di mettere a nudo tutta la stanchezza del mondo”.

Questo è il ritratto che Anne Waldman offrì dello scrittore americano, in un intervista al giornalista Jean François Duval, il 6 dicembre 1996. I racconti e le poesie di Bukowski sono contraddistinte da un crudo realismo, annientano il sogno americano e sono l’espressione della vita dura che ha vissuto, tra sporche stanze in affitto, vagabondaggi e lavori precari. Hank raggiunse la fama artistica negli anni Settanta dopo aver superato i cinquant’anni, la sua mentalità lo portava a rifiutare il ruolo della vittima e a respingere il mito dello scrittore “impegnato”. Il rapporto conflittuale che ebbe con l’ambiente beat, conferma questa tendenza.

Loro lo ammiravano e lui contraccambiava deridendoli. Scrisse in una lettera: “I professionisti finiscono col diventare tanti coglioni. Guardate Mailer, Genet, Borroughs, Ginsberg e quant’altri, come si mettono in mostra nel gran baraccone yippie di Chicago. Giganti dell’Umanità? Cazzate. Giganti della Pubblicità”. A quale evento si riferiva Bukowski?
All’enorme manifestazione che si tenne a Chicago a margine del congresso del Partito Democratico dal 25 al 29 giugno 1968. In aprile c’era stato l’assassinio di Martin Luther King che provocò tafferugli in varie zone degli Stati Uniti e il 6 giugno spararono a Robert Kennedy, all’Hotel Ambassador di Los Angeles.
La tensione era fortissima e a Chicago si erano dati appuntamento decine di migliaia di giovani. Borroughs, Genet e Ginsberg colsero l’occasione e su richiesta di quest’ultimo, per evitare che i manifestanti della sinistra maoista prendessero il sopravvento, le autorità avevano installato a Lincoln Park un impianto d’amplificazione per consentire ai poeti di rivolgersi eventualmente ai manifestanti. Nel tentativo di placare la folla, Ginsberg salì sul palco e intonò Hare Krishna per una quindicina di minuti, accompagnandosi all’armonium; poi interpretò delle poesie di William Blake messe in musica. Improvvisamente, una carica della polizia creò scompiglio, accompagnato da panico e scontri. A quel punto Ginsberg, arrampicatosi in cima a una piccola altura, assunse la posizione del loto e intonò il mantra “OOOM”…. Altri si unirono a lui.
Quella specie di lunga vibrazione che nelle intenzioni del poeta serviva a riacquistare la pace, venne amplificata da altre voci. La litania continuò per diverse ore, tanto che Ginsberg entrò in una sorta di stato d’estasi. Commenterà qualche tempo dopo: “Ero in una massa di elettricità rivoluzionaria, in una dimensione di sentimenti ben diversa da quella che uno prova quando vuole salvarsi la pelle (…)”.

Certo è difficile immaginarsi Bukowski, pur capace di performance eccellenti con il pubblico soprattutto dopo un certo numero di birre, abbandonarsi a esperienze del genere. Poco dopo questi fatti, egli manifestò la propria meraviglia sul giornale underground Open City: “Gli avvenimenti di Praga hanno raffreddato la maggior parte di quelli che si erano dimenticati dell’Ungheria. Eppure restano a bighellonare nei parchi le icone del Che e i ritratti di Castro a mo’ di amuleti, a strillare OOOOMMMMM-OOOMMMM con William Borroughs, Jean Genet e Allen Ginsberg in testa (…) una cosa è chiacchierare di rivoluzione mentre tre teste di cazzo di scrittori di fama internazionale vi fanno ballonzolare al ritmo di OOOOMMMM, un’altra cosa è farla davvero, fare in modo che ci sia. Parigi, 1870-71, ventimila persone ammazzate nelle strade, quelle strade rosse del sangue che le inonda, e i topi che escono fuori e si mangiano i cadaveri”. Bukowski concluse con una sentenza: “c’é solo un posto buono per scrivere, ed è alla macchina da scrivere da SOLI. Uno scrittore che scende nella strada è uno scrittore che non sa niente della strada”.