Lo stile di vita di Fernando Pessoa dimostra come non ebbe mai il desiderio di arricchirsi e non fosse permeato da quella vanità di chi vuole fare della scrittura lo strumento per acquisire potere culturale e mediatico. Il famoso baule dove sono tutte le sue carte, contiene oltre 27mila documenti e di questi, 9-10mila, ancora oggi sono inediti. Inoltre, la maggior parte di quello che leggiamo dello scrittore è stato pubblicato dopo la morte nel 1935. Aveva una biblioteca personale di 1300 volumi in lingua portoghese e inglese, pieni di sottolineature, note volanti, epigrammi, marginalia.
Pessoa lavorò per tutta la vita da impiegato traduttore per una ditta commerciale. Non dispregiò mai quel mestiere, non cadde nell’errore, indotto dalla presente mentalità economica, che istruisce a disprezzare la propria posizione sociale, messa ogni volta in contraddizione con il sogno consumistico pubblicitario.
“Molte volte ho assistito a scene come questa: il signor Pessoa, che stava lavorando in linea di massima alla macchina da scrivere, poiché non realizzava la minuta di ciò che dattilografava, si alzava, prendeva il cappello, si aggiustava gli occhiali e, con aria solenne, diceva: “Vado a casa di Abel”. È il racconto perplesso del figlio del proprietario della ditta Moitinho de Almeida, da dove Pessoa, garbato, si dirigeva nel negozio di bevande di Abel Pereira de Fonseca, a bere vino e sorseggiare aguardiente.
“E un giorno, furono così tante le visite a casa di Abel che mi permisi di dire al signor Pessoa: “Lei beve come una spugna”. Al che rispose immediatamente con la sua ironia: “Come una spugna, come un negozio di spugne, con annesso magazzino”. Persino mio padre che non lo prendeva sul serio come poeta, lo apprezzava e lo stimava molto e gli permetteva di uscire ogni volta che volesse, perché, diceva, tornava sempre più in forma per lavorare.” Molti di quelli che lo conobbero ricordano come non fu mai visto sbronzo, neppure dai suoi amici più stretti, restava imperturbabile dopo ogni bevuta, segno evidente del suo essere composto, del vivere senza dover stupire gli altri. Inappuntabile come gli abiti scuri e le camice bianche della sartoria Lourenço e Santos che indossava.
IL GIOCO DEGLI ETERONOMI
Pessoa non desiderava essere “qualcuno”, forse per questo ha popolato il suo mondo di personaggi fittizi, celati in una moltitudine di alter-ego, un universo di “eteronomi”, letteralmente “altri nomi”, contrapposti all’ortonimo Pessoa. A ciascuno lo scrittore assegna biografie, temperamenti, aspetto fisico, nazionalità, tradizioni, filosofie, oroscopi e persino un abbigliamento. Il classicista Riccardo Reis, il futurista e nichilista Alvaro de Campos, Alberto Caeiro, Bernardo Soares, Antonio Mora e tanti altri. Pare siano 136, secondo il censimento più aggiornato. A contarli sono stati due filologi il colombiano Jéronimo Pizarro e l’argentino Patricio Ferrari.
“Mi sono moltiplicato per sentire,
per sentirmi, ho dovuto sentire tutto,
sono straripato, non ho fatto altro che traboccarmi,
e in ogni angolo della mia anima c’è un altare a un dio differente”.
(da “Passaggio delle ore”- Poesie di Álvaro de Campos )
L’invenzione d’innumerevoli personaggi con un’identità definita, è fondamentale per decodificare il pensiero e l’attività di Pessoa. Il suo migliore biografo, Angél Crespo osserva: “Il suo stile gli aveva permesso di affrontare, a volte più con eleganza che con profonde conoscenze, i temi più diversi ed eterogenei”.
In una lettera del 1934 all’amico Adolfo Casais Monteiro, racconta come gli venne l’idea di creare il suo primo eteronomo, che risale all’otto marzo 1914, quando ondeggiando nella sua camera “in una specie di estasi”, di cui non riesce a definire la natura, prende dei fogli e si mette alla macchina per scrivere. Compone trenta poesie, una dietro l’altra firmandosi Alberto Caeiro.
TALENTO PUBBLICITARIO
Ci sono delle storie legate a Pessoa poco note che rivelano uno dei tanti aspetti della personalità multiforme. La fonte è ancora una volta de Almeida che ricorda come Pessoa “era eccellente nella propaganda commerciale”.
Furono i produttori della Coca Cola di Atlanta, decisi a introdurre la bevanda in Portogallo, a incaricarlo di inventare uno slogan adatto. Pessoa escogitò questa frase: “Prima sorprende poi si manda giù”. Ma proprio in base a questa pubblicità, i paranoici burocrati del ministero della sanità disposero il sequestro dei refrigeranti con la bevanda. Si ritenne che lo slogan di Pessoa segnalasse la tossicità del prodotto, perché quando si dice che prima sorprende e poi si manda giù, si descrive precisamente quello che accade con le droghe.
Probabilmente sono suoi anche i versi per la campagna pubblicitaria della Chevrolet del maggio 1928: “Al volante d’una Chevrolet, sulla strada per Sintra, al chiaro di luna sogno sulla strada deserta”. Non è un caso che Pessoa, fin dal 1924, fosse in buoni rapporti con Manual Martins da Hora, fondatore d’una delle agenzie pubblicitarie portoghesi. Secondo quest’ultimo, avrebbe dovuto partecipare a un convegno sulla pubblicità organizzato a Madrid. Ma com’era noto, Pessoa non amava viaggiare, anche se da giovane aveva vissuto a Durban Sud Africa. Secondo voi è un motivo per biasimarlo?