spari nella notte del conformismo

Mese: Febbraio 2025

La “battaglia di Roma” dei futuristi al teatro Costanzi

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Il futurismo “conquista” Roma nel 1913, riuscendo a fare breccia nell’ambiente della capitale con le serate al Teatro Costanzi, l’attuale teatro dell’Opera; ma il terreno è stato preparato negli anni precedenti, grazie alla presenza di un gruppo di artisti attrattati dall’orbita di Marinetti, il quale aveva contatti con l’ambiente da molto tempo.

Marinetti prima delle serate al Costanzi, non ha ancora organizzato manifestazioni eclatanti, però ha dedicato alla capitale la potente invettiva: Contro Roma passatista, in cui la città, con Venezia e Firenze veniva presa e definita una delle “tre piaghe purulente della nostra penisola”. Accusa infamante, nata dalla considerazione che, in assenza di una moderna struttura economica, la città vivesse da parassita sulla cosiddetta industria dei forestieri, il turismo. Del resto, la Roma clericale, sede del Vaticano, da cui si sprigiona il potere spirituale della Chiesa e la Roma di Montecitorio, crocevia di traffici e intrighi politici, fanno da sfondo al poema romanzo in versi liberi L’aeroplano del Papa (1912), dove Marinetti, spinto da irrefrenabile fantasia e altrettanta sfrontatezza, immagina addirittura di compiere un volo rocambolesco per rapire il Papa.

La “battaglia di Roma”

La mattina di del 21 febbraio 1913, i lettori del quotidiano romano Il Messaggero, leggono un annuncio di una manifestazione culturale e mondana che si terrà quel giorno, alle cinque del pomeriggio, prima matinée interamente dedicata al futurismo al Teatro Costanzi.

Marinetti illustrerà l’esposizione di quadri di Balla, Boccioni, Carrà, Severini, Russolo e Soffici, inaugurata nel foyer; leggerà i versi di alcuni poeti futuristi e infine l’orchestra del teatro eseguirà, sotto la direzione dell’autore, un pezzo sinfonico del maestro futurista Francesco Balilla Pratella. Il capo del movimento è riuscito a ottenere la disponibilità dei locali di via Nazionale grazie all’amica Emma Carelli, ex cantante e ora direttrice artistica del teatro, dove il marito Walter Mocchi, amico di Marinetti, è diventato agente teatrale e ha organizzato lo spettacolo.

Invece, dell’esposizione, si è occupato Peppino Giosi, ex coloraio di via del Babuino, che nei primi anni del secolo faceva credito a Severini e Boccioni, fornendo gratuitamente tele e colori. Durante il “five-o’-clock tea” Marinetti, “parlatore simpatico quando non posa a nazionalista mangiapopoli”, viene ascoltato da una sala gremita, dicono le cronache, di “gente molto per bene” e dunque il dissenso resta limitato a qualche grida di protesta. Molto diverse sono le reazioni del pubblico all’ingresso di Papini – nuova recluta del Futurismo  assieme a Soffici – che, nel presentarsi col volto quasi nascosto da una folta capigliatura, legge il suo Discorso contro Roma con molto impaccio. Le sue parole in mezzo a quella compagnia di facinorosi – nota Fausto Maria Martini su “La Tribuna” – sono una stonatura, anche perché l’occhialuto scrittore fiorentino ha una “voce di gattina bastonata”, vorrebbe esprimere parole audaci, oscenità, ma le dice timidamente, e se ne sta lì in equilibrio instabile sulle lunghe gambe. Insomma, rappresenta “un numero che un impresario di troupe avrebbe dovuto protestare”.

La défaillance papiniana viene confermata da Marinetti in una lettera subito inviata al futurista Cangiullo: “quanto a Papini, non ha ni le physique, ni le voix du role”. Miope, con una voce acido-flebile-monotona, egli lesse male, molte male il suo discorso”. Lo stesso Papini, quasi a scusarsi, dirà poi che s’è trattato d’un “discorsaccio sgangherato e improvvisato” (…) in fretta e furia in poche ore, proprio all’ultimo momento, un po’ a casa mia, un altro po’ in un caffè di Firenze, un’altra parte in casa di Palazzeschi e la fine in un caffè di Roma”.

Soffici confesserà di aver provato di fronte al pubblico urlante l’irrefrenabile desiderio di diventare Gargantua, avanzarsi alla ribalta e “allagar tutta quella carne in delirio con una lunga, lunga pisciata”. Dopo il teatro, i futuristi, ebbri per quella prima serata romana, se ne vanno in giro di notte, raggiungono il Vittoriano, ridono e schiamazzano su quel monumento imponente.

Il 9 marzo alle ore 21, i futuristi calcano nuovamente la scena del Costanzi di fronte a un pubblico numeroso. C’è grande ressa ed eccitazione, le cronache parlano di quattromila persone. In programma: l’esecuzione della sinfonia di Petrella, Inno alla vita, letture di poesie di Buzzi, Aldo Palazzeschi, Folgore “parole in libertà” di Marinetti, una conferenza sulla pittura di Boccioni e, per finire, un “consiglio ai romani” del capo del futurismo. Solo che lo spettacolo degenera in un lancio di frutta e ortaggi, tanto da costringere i musicisti ad abbandonare la fossa d’orchestra; una grossa mela centra un violino in pieno e lo sfonda. Marinetti non si abbatte e continua a recitare, coperto da urla e invettive. Allora provoca: “Ora vi accontento; ascoltate La vispa Teresa, poesia adatta al pubblico romano”. A quelle parole in platea e sui palchi si scatena la tempesta, mentre il poeta grida. “È canaglia prezzolata dalla bestialità dorata quella che è venuta a far baccano!”. Parte un lancio d’oggetti anche dalla barcaccia del circolo degli scacchi, vicina al palcoscenico, dove si intravedono il principe Boncompagni, il principe Altieri e il marchese Cappelli.

“Buffone!”, gridano gli aristocratici. “Figli dei preti!”, replica Marinetti.

A quel punto il poeta abbandona la scena, ma si imbatte nell’Altieri, a cui rivolge parole di fuoco; segue una scarica di pugni e l’intervento delle forze dell’ordine. Sembrerebbe finita lì e invece Boccioni, messosi sulle tracce dello stesso principe, all’angolo di via Torino con via Nazionale, lo colpisce con una bastonata. Altra rissa, sedata dall’intervento di una guardia che trascina Boccioni in commissariato. Marinetti intanto ha raggiunto il caffè Aragno, nella confusione dei disordini ha perso il cappello e una scarpa. A mezzanotte, tra il fumo delle sigarette nella terza saletta cala il sipario sulla “battaglia di Roma”.

20 Febbraio 1909. Il Futurismo irrompe sulla scena dell’Europa

Il 20 febbraio 1909 è una giornata fredda e lievemente piovosa. Un uomo poco più che trentenne si aggira tra i giganteschi carri colmi di verdure del mercato di Parigi. È impaziente, ha atteso con fervore l’apertura dei chioschi di giornale per potere acquistare una copia di “Le Figaro” che ha appena pubblicato in prima pagina uno scritto esplosivo intitolato Le Futurisme. Un autentico fuoco incrociato contro ogni conformismo. In calce una firma che diventerà leggenda F.T. Marinetti. La redazione del quotidiano ha ritenuto opportuno far precedere il testo da una presa di distanza nei confronti del “giovane poeta italiano e francese dal talento notevole e focoso”, lasciandogli tutta la responsabilità “delle sue idee singolarmente audaci e d’una violenza spesso eccessiva per delle cose eminentemente rispettabili”. Quello che sembrava solo uno scritto ad alto tasso di provocazione, segnerà l’inizio dell’avventura di una delle più dirompenti avanguardie artistiche del Novecento.

Il proclama, nelle intenzioni di Marinetti, serve ad innescare la miccia per fare esplodere i conformismi, il culto del passato e la tirannia delle accademie che opprimono la letteratura contemporanea. Ma il Futurismo andrà oltre l’arte, diventerà azione nella società.

In quel febbraio del 1909 sono ancora in pochi a comprendere l’irruenza sibillina di quel grido rivoluzionario. “Avevamo vegliato tutta la notte – i miei amici ed io – sotto lampade di moschea dalle cupole di ottone traforato, stellate come le nostre anime, perché come queste irradiate dal chiuso fulgòre di un cuore elettrico. Avevamo lungamente calpestato su opulenti tappeti orientali la nostra atavica accidia, discutendo davanti ai confini estremi della logica ed annerendo molta carta di frenetiche scritture”.

La nascita del Futurismo viene narrata in chiave mitico-allegorica con una tecnica di comunicazione innovativa. Il salotto orientale è quello del poeta a Milano, arredato con i mobili della casa paterna di Alessandria d’Egitto, dov’è nato il 22 dicembre 1876. Il bivacco di giovani ha un duplice significato autobiografico e simbolico: è una specie di veglia funebre attorno al cadavere del passato culturale da cui l’autore intende sganciarsi, rifiutando una buona volta quella concezione dell’arte come attività separata dal flusso della vita. Leggiamo:

“Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli!… Perché dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose porte dell’Impossibile? Il Tempo e lo Spazio morirono ieri. Noi viviamo già nell’assoluto, poiché abbiamo già creata l’eterna velocità onnipresente”.

 

Ernst Jünger

Ernst Jünger (29/03/1895–17/02/1998)

«Dobbiamo riconoscere che siamo nati in una plaga di ghiaccio e di fuoco. Il passato è tale che non si può mantenere legami con esso, e la realtà in divenire è tale non ci si può preparare ad essa. Questa plaga presuppone in chi vi dimora, come atteggiamento, il massimo grado di scetticismo pronto alla guerra. Non è concesso trovarsi in quelle parti del fronte che sono da difendere; occorre essere là dove si attacca. Per disporre delle riserve sufficienti, occorre essere consapevoli che sono riserve invisibili, al riparo, più sicure che se fossero protette da una volta blindata. […]

È possibile possedere una fede senza dogma, un mondo senza dèi, un sapere senza massime, una patria che non corra il rischio di essere occupata da alcuna potenza mondiale? Sono domande che impongono all’individuo di verificare il livello di qualità del proprio armamento. Non c’è carenza di militi ignoti; più importante è il regno ignoto, sulla cui esistenza non sono necessarie informazioni»

I palestinesi come pedine da sacrificare nella partita politica del Medio Oriente

Nel corso dell’incontro con il primo ministro israeliano Netanyahu, il presidente Donald Trump, ha ribadito la volontà di prendere il controllo del territorio di Gaza, rimuovere le macerie e organizzare il trasferimento della popolazione palestinese in altri territori. La striscia di Gaza, nelle intenzioni del presidente americano, andrebbe ricostruita trasformata in una specie di area urbanistica rinnovata, una zona speciale nel segno della prosperità.

Ovviamente questa idea dal sapore umanitario, è senza giri di parole un piano di esilio forzato di un’intera popolazione verso non si sa dove, dato che come era ovvio, i paesi arabi non hanno mostrato disponibilità. Un progetto del genere poteva trovare il consenso solo negli ambienti messianici e fanatici della politica e della società israeliana.

Negli Stati Uniti, diverse organizzazioni ebraiche e politici hanno criticato duramente la proposta per Gaza, definendola irresponsabile e scollegata dalla realtà. Altre voci dissidenti da tutto il mondo si sono espresse in negativo. Un’indignazione ancora debole rispetto alla determinazione di chi invece continua a soffiare sul fuoco del Medio Oriente. Provare disgusto è il minimo, ma non basta per un’azione politica di dissuasione davvero efficace.

Dietro la proposta americana c’è la necessità per gli Stati Uniti di blindare il controllo delle aree strategiche, e Gaza, affacciata sul Mediterraneo, evita a una forza nemica di minacciare il Canale di Suez e Israele. Inoltre è ripresa da parte di Washington la pressione verso l’Arabia Saudita per normalizzare i rapporti diplomatici con lo Stato Israele e mantenere un atteggiamento ostile nei confronti dell’Iran, l’altro importante competitore mediorientale.

Si sta giocando una partita politica per ridefinire gli equilibri di potere nell’area, marginalizzando la questione palestinese e allo stesso tempo si rafforza la posizione del governo israeliano deciso a fare il bello e il cattivo tempo, continuando a violare ogni regola internazionale, con l’accondiscendenza e la complicità delle nazioni che avrebbero tutto il potere per bloccare la politica arrogante del governo di Tel Aviv. Prepotenze, distruzione di villaggi, deportazioni di popolazione, occupazione e smantellamento sistematico dei territori assegnati ai palestinesi, vanno avanti dal 1948 con una determinazione spietata.

L’attacco militare di Hamas del 7 ottobre 2023 ha offerto la scusa perfetta al governo israeliano e ai nazionalisti, per liquidare la questione palestinese, già compromessa e tradita da anni di occupazione illegale e tribalismi interni alla società araba.

A che punto è la notte?

La situazione è più tranquilla ma allo stesso tempo drammatica anche nella Cisgiordania, con un territorio spezzettato da colonie ebraiche illegali e zone di presidio militare. Lo stato palestinese semmai si dovesse formare a queste condizioni, si troverebbe sopra un territorio sfrangiato, dove sarà complicato esercitare un minimo di sovranità.

E l’Europa? Assente, indolente e arrendevole, erosa dai suoi stupidi sensi di colpa, impegnata più a sprecare carta in appelli e dichiarazioni piene di sdegno che non sortiscono alcun effetto. Più grave è l’atteggiamento remissivo dell’Italia che dovrebbe recitare un ruolo più incisivo nel Mediterraneo, invece di limitarsi ad accodarsi alle scelte del più forte e in questo caso più prepotente. I palestinesi esistono e soffrono come popolo e sono diventati la pedina da sacrificare in questo gioco politico e diplomatico coperto di sangue.

Semplicemente Drieu La Rochelle

 

Pronunci il nome e sai di toccare un nervo scoperto. Pierre Drieu la Rochelle; suona così bene, peccato che una superficialità diffusa lo abbia liquidato con un epitaffio: il fascista morto suicida.

Ai paranoici di chi è sempre in cerca di eretici da fustigare e di eroi democratici da santificare, si consiglia di sbirciare il catalogo di Gallimard. Ci sono le opere complete nella Bibliothèque de la Pléiade, mai comparse nella versione italiana Einaudi-Gallimard, e poi romanzi, racconti, poesie, saggi.

Insomma, neanche una virgola della produzione di questo normanno è stata trascurata. Nel 1963 il regista Louis Malle lo consegna all’olimpo degli immortali girando il magistrale “Le feu follet”, tratto dal capolavoro di La Rochelle, in Italia disponibile con il titolo “Fuoco Fatuo”. Tuttavia, è opportuno evitare di trasformare questo autore in oggetto per tifoserie letterarie.

Pierre Drieu la Rochelle, nato nel 1893 a Parigi in una famiglia borghese e nazionalista di antica fede napoleonica, è uno dei figli migliori della generazione perduta. È vissuto tra le due guerre: è stato ferito nella prima e si è tolto la vita sul finire della seconda, per l’esattezza il 15 marzo 1945, dopo aver ingerito una dose letale di Fenobarbital.

Tutto ciò che lo riguarda, come letterato e come uomo, è accaduto durante quella pace “fatua” andata in scena a Parigi tra le due guerre. Amico di Louis Aragon e André Malraux, dei dadaisti e dei surrealisti, dandy delle serate alla moda, marito difficile, amante di donne belle e ricche, Drieu in fondo è passato nel secolo breve senza legarsi ad alcuno, fedele alla sua spietata coerenza.

Coerenza nello stile, innanzitutto. Nei suoi romanzi – tra i più importanti si ricordino “Gilles”, “I Cani di paglia”, “Le memorie di Dirk Raspe” “Strano viaggio”, la “Commedia di Charleroi” e il già menzionato capolavoro, Fuoco fatuo – non si sa bene se per indole o per scelta, egli non sperimenta. Niente a che vedere con un altro irrequieto, Céline: il francese è per lui una bandiera di continuità con la storia e con il passato della patria adorata, servita stando dalla parte sbagliata perché in fondo quella giusta non c’è. Un periodare breve e schietto, punteggiatura immacolata, idioma pulito, intelligibile.

Non avrebbe potuto essere altrimenti.

Nelle scorribande notturne questo biondo alto, elegante e attraente, aveva scelto di vivere e di morire per il suo paese e per l’Europa intera. Credeva che soltanto un “romanticismo fascista” avrebbe potuto arginare la mentalità americana in cui, veggente involontario, vedeva profilarsi l’imperialismo e la fine della civiltà del vecchio continente.

Quindi, dove rifugiarsi? In un meditato nichilismo, in un anarchismo individualista che lo pone all’avanguardia – lui, che era conservatore – nella letteratura e nel pensiero a livello internazionale. Spietatamente moderno, con La Rochelle si realizza l’identità tra arte e vita.

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