Platone sapeva meglio di noi cos’è l’arte, e giustamente la temeva, perché il potere dell’immaginazione è quanto di più vicino, nell’uomo, a un fuoco distruttore e trasformatore. Nella “Repubblica” gli artisti erano valutati con diffidenza proprio perché considerati un pericolo per l’ordine. Invece oggi, l’arte viene osservata e trattata con estrema leggerezza e superficialità, tanto da attribuire il valore di opera artistica a qualunque cosa. Marcel Duchamp quando nel 1917 firmò il famoso orinatoio “R.Mutt” era consapevole che quell’oggetto non fosse un’opera d’arte, ma il suo intento era quello di sbeffeggiare il concetto di opera artistica secondo i canoni dell’accademia ufficiale.
Edgar Wind, illustre studioso d’arte e anche sottile decifratore del pensiero occidentale, ci ha spiegato come l’arte occidentale sia diventata autonoma e sovrana proprio nel momento in cui le è stato sottratto il suo vero potere. Così l’arte autonoma, coperta di inutili onori, si è trovata ad essere relegata in uno spazio ornamentale e marginale della realtà.
L’arte può essere celebrativa, devozionale, narrativa, estetica e provocatoria, ma nel suo spirito più originario è qualcosa che dovrebbe provocare un’effrazione rispetto al reale e mutare la prospettiva. Altrettanto vero che non possiamo negare il condizionamento dell’arte da parte dell’economia e del mercato. L’opera d’arte si immerge nella società e in qualche maniera coglie lo spirito dei tempi. Nei secoli c’è sempre stata una contrapposizione tra conservatori e innovatori, modi diversi di concepire l’arte.
Recentemente la casa d’aste Sotheby’s ha venduto a New York per 6,2 milioni di euro, “Comedian” opera di Maurizio Cattelan, consistente in una banana attaccata al muro con del nastro telato. Qualche curatore d’arte, ha subito dichiarato che non è una banana ad essere stata acquistata, ma un “concetto”.
Proprio l’abuso di queste parole, l’utilizzo sconfinato, conferma di come l’arte abbia completamente ceduto al mercato, al capitalismo glamour per soddisfare qualche capriccio di ricchi e viziati compratori.
Maurizio Cattelan è un artista, un prodotto mediatico o un geniale provocatore? Del “provocatore” non ha niente.
Dare forza alle frivolezze di un pubblico di consumatori, è un’azione da abile mercante. Chi provoca davvero mette in discussione la società e il sistema, scardina soprattutto le certezze del suo ambiente. Cattelan è solo un propagandista di sé stesso che tenta di stupire in ogni modo ma il cui unico obiettivo è alimentare una remunerativa speculazione commerciale. Siamo di fronte allo spettacolo della merce. Meglio pensare di trovarci di fronte al “niente”, la totale assenza di significati.
Un “niente” capace di generare profitti che galleristi, organizzatori e critici si ostinano a definire Arte. A questo punto vale ciò che scrisse Jean Braudillard: “L’arte contemporanea specula sul senso di colpa di quanti non capiscono niente di ciò che essa produce, e non hanno capito che non c’era assolutamente niente da capire”.
Cattelan è una delle comparse di quel grande apparato nascosto dietro la parola “Cultura” che amministra il sapere, sorveglia e governa il pensiero per farlo coincidere con gli interessi dei gruppi di potere dominanti. Da parte nostra c’è solo l’irrisione e il sabotaggio beffardo.