spari nella notte del conformismo

Mese: Novembre 2024

Di banane e Cattelan: la banalità artistica al servizio del potere.

Platone sapeva meglio di noi cos’è l’arte, e giustamente la temeva, perché il potere dell’immaginazione è quanto di più vicino, nell’uomo, a un fuoco distruttore e trasformatore. Nella “Repubblica” gli artisti erano valutati con diffidenza proprio perché considerati un pericolo per l’ordine. Invece oggi, l’arte viene osservata e trattata con estrema leggerezza e superficialità, tanto da attribuire il valore di opera artistica a qualunque cosa. Marcel Duchamp quando nel 1917 firmò il famoso orinatoio “R.Mutt” era consapevole che quell’oggetto non fosse un’opera d’arte, ma il suo intento era quello di sbeffeggiare il concetto di opera artistica secondo i canoni dell’accademia ufficiale.

Edgar Wind, illustre studioso d’arte e anche sottile decifratore del pensiero occidentale, ci ha spiegato come l’arte occidentale sia diventata autonoma e sovrana proprio nel momento in cui le è stato sottratto il suo vero potere. Così l’arte autonoma, coperta di inutili onori, si è trovata ad essere relegata in uno spazio ornamentale e marginale della realtà.

L’arte può essere celebrativa, devozionale, narrativa, estetica e provocatoria, ma nel suo spirito più originario è qualcosa che dovrebbe provocare un’effrazione rispetto al reale e mutare la prospettiva. Altrettanto vero che non possiamo negare il condizionamento dell’arte da parte dell’economia e del mercato. L’opera d’arte si immerge nella società e in qualche maniera coglie lo spirito dei tempi. Nei secoli c’è sempre stata una contrapposizione tra conservatori e innovatori, modi diversi di concepire l’arte.

Recentemente la casa d’aste Sotheby’s ha venduto a New York per 6,2 milioni di euro, “Comedian” opera di Maurizio Cattelan, consistente in una banana attaccata al muro con del nastro telato. Qualche curatore d’arte, ha subito dichiarato che non è una banana ad essere stata acquistata, ma un “concetto”.

Proprio l’abuso di queste parole, l’utilizzo sconfinato, conferma di come l’arte abbia completamente ceduto al mercato, al capitalismo glamour per soddisfare qualche capriccio di ricchi e viziati compratori.

Maurizio Cattelan è un artista, un prodotto mediatico o un geniale provocatore? Del “provocatore” non ha niente.
Dare forza alle frivolezze di un pubblico di consumatori, è un’azione da abile mercante. Chi provoca davvero mette in discussione la società e il sistema, scardina soprattutto le certezze del suo ambiente. Cattelan è solo un propagandista di sé stesso che tenta di stupire in ogni modo ma il cui unico obiettivo è alimentare una remunerativa speculazione commerciale. Siamo di fronte allo spettacolo della merce. Meglio pensare di trovarci di fronte al “niente”, la totale assenza di significati.

Un “niente” capace di generare profitti che galleristi, organizzatori e critici si ostinano a definire Arte.  A questo punto vale ciò che scrisse Jean Braudillard: “L’arte contemporanea specula sul senso di colpa di quanti non capiscono niente di ciò che essa produce, e non hanno capito che non c’era assolutamente niente da capire”.

Cattelan è una delle comparse di quel grande apparato nascosto dietro la parola “Cultura” che amministra il sapere, sorveglia e governa il pensiero per farlo coincidere con gli interessi dei gruppi di potere dominanti. Da parte nostra c’è solo l’irrisione e il sabotaggio beffardo.

Donald Trump, il ritorno

 

 

“Più che l’imprevisto, è il previsto che coglie di sorpresa l’uomo esperto” – questo aforisma di Nicolas Gomez Davila – descrive bene la sequenza di reazioni provocate dalla vittoria di Donald Trump e dai commenti sconclusionati di un ceto intellettuale progressista che non sa più che spiegazione darsi, dopo avere confuso i propri desideri con la realtà, senza sforzarsi minimamente di comprendere quello che è accaduto, se non limitandosi, con la mentalità del tifoso, a lanciare maledizioni contro il cielo.

La dimensione del successo di Trump e della sua capacità di avere organizzato un contropotere di élites riposizionatesi all’interno del movimento repubblicano, ha definitivamente disintegrato il vecchio sistema nel campo politico, economico e sociale.

L’ambiente politico conservatore si è unito ad alcuni settore del capitalismo più avanzato, questa classe di “ipercapitalisti” che mette in discussione le vecchie rendite di potere, interviene e partecipa attivamente nella gestione politica degli apparati statali.

È una dimensione nuova, un momento di svolta. Staremo a vedere.

Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca non cambierà drasticamente la traiettoria della competizione strategica con la Cina – il perno centrale della politica estera di Washington, l’area dell’indo-pacifico, dove oggi si svolge la competizione più importante.

E lo ripetiamo, l’Europa deve cogliere l’occasione per rendersi più autonoma, definire e difendere il proprio interesse politico e militare e intervenire in maniera più decisa nelle aree di conflitto, non essere più un osservatore un po’ in disparte. Dalla Storia non si sfugge.

Controllo e illusione della libertà

Siamo immersi dentro un grande dispositivo di gestione della vita formattato con parametri securitari.

Sono questi che regolano in maniera onnipervasiva il funzionamento quotidiano di questa mega macchina che abbiamo creato e che adesso non sappiamo più come smontare o controllare.

Domani potremo votare in massa chi vogliamo, ma faremo una grande fatica ad abolire l’ideologia securitaria, il sogno dispotico burocratico-sanitario, la società dell’ipercontrollo, della classificazione a tutti i costi, la pianificazione integrale della vita e dei corpi da parte di quelle istituzioni e aziende assoldate dai governi per trovare soluzioni permanenti a problemi transitori.
Ovunque si riduce lo spazio dell’esistenza quotidiana, del tempo e dei territori liberati dal denaro e dal mercato.
«tutto è permesso ma niente è possibile».

Sembra una contraddizione ma è la sintesi più precisa del funzionamento dei nostri sistemi dove le proibizioni vengono spacciate per scelte libere: la mega macchina che con i suoi input ci vuole impedire di immaginare altri mondi e altri futuri. Tutto sotto la stretta sorveglianza di un apparato culturale, onirico, pubblicitario che proietta tutto il giorno l’illusione della libertà.

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