Fare a meno del maschile e del femminile e arrivare ad un individuo emancipato dalla natura. Sembra impossibile, un discorso al limite del delirio, ma non è così per i propugnatori della “teoria del genere”. Una tesi sviluppata negli anni Sessanta che ha avuto un’ampia diffusione a partire dagli anni Novanta. L’anno di svolta è proprio il 1990, quando la filosofa americana Judith Butler, pubblica un libro controverso: Gender Trouble, Feminism and the Subversion of Identity (trad. it. Questione di genere. Il femminismo e la sovversione dell’identità). Testo che avrebbe conferito una forma canonica alla teoria del genere come costruzione culturale da smontare e rimodellare. Proprio da un particolare settore del pensiero femminista, quello egualitario, diverso da quello identitario che concentra la propria attenzione nella difesa o rivalutazione del dato femminile, si è diffusa una concezione dove la cancellazione di ogni differenza tra uomini e donne, dovrebbe rappresentare il presupposto di un’autentica uguaglianza. Mescolando con furbizia concetti contraddittori con l’alterazione del vero significato della parola “genere”, è stato composto un pastone ideologico che ha come ingrediente base l’idea di una società composta da individui autosufficienti, privi di legami e radicamento, al di fuori di quello volontario, razionale o contrattuale. Da qui è scaturito l’attacco al dato biologico, al maschile e femminile, finiti nel mirino della critica “decostruttiva”.
La parola chiave è “decostruzione”. Prima, si “costruisce” il genere artificiosamente secondo le proprie inclinazioni e poi si decostruiscono tutti quei processi socialmente riconosciuti come indicatori del genere. Prima l’individuo si “emancipa” dalla natura e poi si “rompe” con l’ordine sociale. Il genere viene superato dal transgender, lemma che definisce tutti coloro che si posizionano al di fuori della dicotomia maschio-femmina. Si pongono al di là, come suggerisce il prefisso trans. Il rifiuto del genere come dato naturale e la sua definizione come qualcosa di costruito e artificiale, sostiene l’esistenza solo di un’identità percepita e innumerevoli possibilità: si può essere agender, bi-gender, pan gender, gender fluid. In questa confusione, se ci pensate, l’esito è tragicomico.
Lo scopo dei propugnatori di queste teorie è rompere la dialettica di genere, per cui i sessi sono due, e così, superare la polarità uomo-donna, maschio-femmina, distinti e irriducibili. Anzi si sostiene che tale polarità sia qualcosa di arbitrario, determinato da pratiche sociali sviluppatesi nel corso dei secoli. Quindi se non ci sono un maschio e una femmina prede-terminati, tutte le variabili si sviluppano intorno a tre elementi che caratterizzano il genere in senso lato: percezione di sé, espressione di genere (es. come mi vesto), orientamento sessuale. È un problema antico, quello del rapporto fondamentale fra natura e cultura.