spari nella notte del conformismo

Mese: Marzo 2021

La crisi del giornalismo tradizionale

 

international daily newspapers

Il giornalismo è uno dei capisaldi di quello che Jurgen Habermans definisce sfera pubblica borghese  che nel corso del Novecento, viene progressivamente sostituita dalla società di massa, composta da ceti medi e popolari. Tale massa incrina lentamente alcuni valori e a partire dagli anni Sessanta comincia ad affermarsi un individuo desiderante, i legami comunitari si sfilacciano, si fa strada una folla più narcisista e precaria nei rapporti. Il resto è cronaca degli ultimi anni, l’accelerazione della globalizzazione, la crisi finanziaria del 2008 hanno indebolito e impoverito la società dei ceti medi facendo esplodere la rabbia.

Il giornale era contemporaneamente voce dell’individuo e della società in un ambiente con forme e gerarchie precise non semplicemente composto da una folla di individui atomizzati. La diffusione e lo sviluppo di Internet ha permesso a questa folla di esprimersi come vuole, senza indirizzo e nessuna mediazione della stampa tradizionale e alle fine tutto è saltato e ogni tribù si è organizzata liberamente. Dentro questa sfera, tutto è sorvegliato dalle multinazionali del web che favoriscono la diffusione di certe idee e applicano la censura dietro il paravento della libertà di espressione.

Il giornalismo, soprattutto quello della carta stampata, dovrebbe essere più riflessivo e approfondito, deve conservare tre caratteristiche: informare, interpretare e orientare.

L’andamento degli ultimi anni conferma il contrario, almeno per quanto riguarda la stampa convenzionale. In Italia questa crisi è più profonda. A chi scrivono e a chi si rivolgono i giornali?

Giovani e vecchi, individui più o meno istruiti guardano alcuni giornali come a reliquie del passato. La notevole diffidenza verso le testate più accreditate è dovuta agli errori clamorosi e alla perdita di quella capacità di anticipare gli scenari in Occidente. Invece di provare a interpretare, le redazioni si sono affannate a confermare le proprie convinzioni a un pubblico sempre più ristretto di affezionati ammiratori. Eppure la lettura delle grandi testate è ancora importante se si riesce a selezionare quegli articoli buoni in grado di analizzare la realtà. Immuni da forme di esterofilia, dobbiamo riconoscere che il confronto con la punta avanzata del giornalismo italiano, rappresentata da Corriere della Sera, Repubblica e Stampa, rispetto a quelli stranieri è davvero impietoso.

Un motivo è da ricercare nella solidità delle élites in Francia, Germania, Stati Uniti e Gran Bretagna che possono mettere in discussione anche se stesse entro certi limiti; in Italia le classi dominanti occupano un edificio in rovina, pieno di calcinacci, chiuse nel loro piccolo mondo per non vedere cosa succede fuori. Sembrano usciti dal film di Ettore Scola, la terrazza. La crisi colpisce i giornali di riferimento di questi ambienti mentre i piccoli quotidiani e periodici, più propensi a dare battaglia nel campo delle idee, meno disposti al compresso e con posizioni chiare, resistono e riscuotono consensi. Hanno pregi e difetti e sono più vivaci e fanno più dibattito di certa stampa soporifera e in questo caso i lettori non disertano.

I nostri quotidiani sono pieni di pagine di politica interna, colmi di retroscena, genere altrove inesistente, storie e descrizioni che servono più a intrattenere e a riempire i vuoti. Analizzano poco e male la politica estera, mentre si scatenano in linguaggi allusivi, metafore fruste, neologismi e interviste ai capi corrente di riferimento. Da qui l’Europa e il resto del mondo sono raccontati attraverso le ristrette e provinciali coordinate della politica interna.

Il confronto con i grandi non regge. I lettori del New York Times, Figaro, del Guardian, Daily Telegrafh, Frankfurter Allgemeine Zeitung, sono diversi da quelli di venti anni fa, ma questo ha inciso solo in parte sulla qualità della loro offerta che si è raffinata ed è diventata più elitaria. Nel caso italiano la quantità si è trasformata in bassa qualità, il crollo delle vendite è andato di pari passo con la perdita di credibilità.

I giornali sono la voce e uno dei pilastri della classe dominante, intesa nel senso di Gaetano Mosca. In Occidente queste classi stanno attraversando un momento di confronto e scontro interno, mentre nuove classi cercano di rimpiazzare le vecchie che resistono o tentano di apparire nuove e rinnovate. Fenomeno che accade pure in Italia con un problema: qui le “ruling class” sono più deboli, precarie e instabili rispetto ad altre nazioni, meno legittimate sul piano sostanziale e nella gestione del capitale simbolico.

L’epoca del capitalismo della sorveglianza

 

Internet of Things, Smart Home, 5g e altri acronimi inglesi spiegano come milioni di dispositivi raccolgono dati su di noi e acquisiscono in questo modo nuove conoscenze e potere. Per conto di chi? È domanda importante, in un’epoca l’integrazione tra corpo fisico e identità digitale che sta rendendo impossibile una vita “sconnessa”. Dicono di stare tranquilli perché questa mole di dati è protetta e, cosa più interessante, tutte le interazioni sui social network, hanno permesso di raccogliere informazioni con il consenso delle persone, smaniose di mostrarsi, di raccontare le loro vite grandi o insignificanti che siano. Aggiungete le questioni riguardanti il diritto e le cosiddette “privacy policy” lunghe, contorte e complicate che nessuno legge e avrete un quadro abbozzato del nuovo capitalismo della sorveglianza. Esso si appropria dell’esperienza umana usandola come materia da trasformare in dati sui comportamenti. Alcuni di questi dati vengono usati per migliorare prodotti e servizi, ma il resto diviene surplus comportamentale privato, sottoposto a un processo di lavorazione avanzato noto come “intelligenza artificiale” per poi trasformarli in prodotti predittivi in grado di anticipare cosa faremo, in un determinato periodo.

Shoshana Zuboff nel suo saggio corposo e ricco di dettagli, intitolato proprio “Il capitalismo della sorveglianza” (ed. Luiss), spiega anche che esiste un mercato dove si scambiano queste previsioni. Grazie a questo commercio, le multinazionali dei Big Data, i nuovi padroni di quest’epoca, si sono arricchiti smaccatamente, passando informazioni ad aziende, strutture di intelligence e organizzazioni.

La novità è stata dettata dalla competizione: i processi automatizzati riescono in parte a conoscere i nostri comportamenti, ma sono in grado di formarli, di indurre bisogni inesistenti. Quando strisciate la vostra carta fedeltà al supermercato o fate un pagamento elettronico, la traccia degli acquisti si accumula ad un ammasso di dati indicativi su gusti e scelte da consumatore. Nel capitalismo della sorveglianza, tutto sembra gratuito o finanziato dalla pubblicità, ma la vera merce sei tu. Prima la focalizzazione maggiore era sulla conoscenza, ora si concentra sul potere di indirizzare comportamenti singoli e di massa. Nel capitalismo industriale i mezzi di produzione si moltiplicavano dentro una dimensione fisica, in quello della sorveglianza i mezzi di produzione accrescono con la modifica dei comportamenti.

Google ha in un certo senso inventato e perfezionato questa nuova forma di capitalismo e si muove in senso opposto agli utopisti del digitale che vogliono proteggere i dati e sognano un eden di condivisione e contatti mediati dalla tecnica. Stiamo pagando per farci dominare, lentamente, inesorabilmente grazie anche ad un intontimento psichico suadente. Il capitalismo della sorveglianza non va identificato con una tecnologia ma con una logica che permea tutto il sistema della Tecnica. Difficile da comprendere utilizzando concetti legati a un mondo solido e ciò gli ha consentito di acquisire una forma e una natura sfuggevole. Restando sull’esempio di Google, esso sta al capitalismo della sorveglianza come la Ford stava a quello manageriale basato sulla produzione di massa. I passaggi sono semplici: estrazione e analisi dei dati, nuove forme contrattuali, personalizzazione e standardizzazione, esperimenti continui. Quando cercate qualcosa sul vostro motore di ricerca preferito, dopo un po’ di tempo siete inondati da pubblicità di prodotti simili o afferenti e lì toccate con mano l’impossibilità di sottrarsi al legame con l’algoritmo. Del resto, non potete nemmeno staccare la batteria dai vostri smartphone e tablet. Il patto tra Faust e Mefistofele in versione contemporanea: puoi avere quello che vuoi, scaricare le tue endorfine consumistiche a patto che mi riveli chi sei e cosa farai.

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