Quando, il 21 dicembre del 1940, Francis Scott Fitzgerald, concludeva a Hollywood la sua tragica esistenza, pochi si ricordavano di lui, la maggior parte si limitava ricordarne con rimpianto, l’aver vissuto intensamente quel decennio allegro e irresponsabile dopo la prima guerra mondiale e che egli stesso aveva ribattezzato “l’età del jazz”. In quel periodo erano in molti a considerarlo uno scrittore fallito, un talento che si era consumato lasciandosi sedurre dal denaro facile dei racconti sulle riviste illustrate. Ha narrato l’euforia e le contraddizioni di quel periodo, Il grande Gatsby, pubblicato nel 1925, è stato probabilmente il romanzo più riuscito.
Chi è stato Fitzgerald? Era nato a Saint Paul in Minnesota, il 24 settembre 1896 su quella terra che i sioux chiamavano Mnisota, “fiume dall’acqua torbida”, come il suo destino. Una vita sregolata e una personalità oscillante: da una parte il sognatore idealista, romantico, ingenuo ed espansivo pronto a prendere tutto sul serio, dall’altra il moralista distaccato che osserva il mondo con un piglio sarcastico.
Molti suoi scritti conservano tutta la loro attualità perché trattano il dramma di un’epoca cinica e materialista. Il significato profondo della sua opera sta tutto qui. Da Amory Blaine, il giovane protagonista di Di qua dal Paradiso, cresciuto per trovare “tutti gli dèi morti, tutte le guerre combattute, tutte le fedi nell’uomo scosse”, ad Anthony Patch, protagonista di Belli e dannati, da Gatsby ostinato ad inseguire un sogno senza speranza, fino a Dick Diver, il giovane medico che logora se stesso mentre guarisce la sua paziente, protagonista di Tenera è la notte. Tutti questi personaggi manifestano un disagio perché cresciuti con ideali più nobili e, dopo essere venuti a contatto con la società moderna, non trovano terreno fertile dove edificare quelle idee. Lottano con tenacia, non si adeguano alle circostanze, finché vengono ineluttabilmente travolti e sconfitti.
Fitzgerald è più a suo agio con storie che contengono elementi biografici e come loro, sta “dentro e fuori” come Nick Carraway, personaggio de Il grande Gatsby che durante un ricevimento noioso, partecipa distratto a una discussione mentre è completamente assorto nei suoi pensieri:
“Avevo voglia di uscire fuori, e camminare verso est, in direzione del parco, nel languido crepuscolo, ma ogni volta che cercavo di andarmene mi trovavo invischiato in qualche accanita, aspra discussione che mi inchiodava alla seggiola come se vi fossi legato con una corda”.
La contraddizione costante tra idealismo e scetticismo, è alla base dell’atteggiamento di Scott verso la vita dei ricchi, il principale tema delle sue opere. Cresciuto con gli ideali aristocratici del padre, come onore, cortesia e “buoni istinti” si rende conto che questi ricchi vivono di felicità effimere, di apparenze e forse li disprezza un poco anche se è attratto da quello stile di vita. Più che diventare benestante, si illuse di conservare a lungo la felicità attraverso il denaro, ma si accorse presto che era qualcosa di breve e passeggero.